Si accorciano le file dilaganti davanti agli uffici di collocamento spagnoli? Sì, secondo i dati pubblicati martedì dal ministero del lavoro: ad aprile il Paese iberico ha contato 111.565 disoccupati in meno rispetto al mese precedente. La comparazione rispetto all’aprile del 2013 fa registrare addirittura un sorprendente -6,11%, pari a 304.892 persone. Il Partido popular (Pp) del premier Mariano Rajoy (nella foto reuters) coglie la palla al balzo e cavalca «l’aprile dei record» con ostentato ottimismo e avventati proclami di fine crisi in vista dell’imminente appuntamento elettorale del 25 maggio. Visto così, il panorama sembrerebbe incoraggiante, anche se alcune precisazioni potrebbero offuscare le rosee prospettive che emergono dai numeri forniti dal ministero retto da Fátima Báñez. Innanzitutto, molti nuovi contratti sono stagionali e legati al fermento del settore del turismo registrato durante la settimana di Pasqua. Ne è prova il fatto che circa metà di coloro che hanno abbandonato le liste di collocamento, hanno trovato impiego proprio nel settore turistico, l’unico ancora in salute del binomio sombrilla-ladrillo (ombrellone e mattone), che portò allo sfacelo l’economia iberica. In totale, solo il 9.4% dei nuovi contratti firmati ad aprile sono indeterminati, «segno – ha commento la direzione di Comisiones Obreras, il maggior sindacato spagnolo – che la precarietà e la carenza di tutele per i lavoratori sta crescendo in maniera inesorabile e preoccupante».

Inoltre, a fronte di un calo della disoccupazione – sei anni dopo l’inizio della crisi – si continua a distruggere posti di lavoro. Stando ai dati dell’Epa, lo studio sulla popolazione attiva pubblicato dall’Instututo nacional de estadística, il numero totale degli occupati, alla chiusura del primo trimestre di quest’anno, ammontava 16.950.000, la cifra più esigua dalla fine del 2002.

Altri due fattori dovrebbero smorzare i trionfalismi dell’esecutivo. Da una parte, la diminuzione della popolazione attiva, dovuta all’emigrazione giovanile o alla disperazione dei disoccupati di lungo periodo che si cancellano dalle liste di collocamento: si tratta di quasi mezzo milione di persone in meno un anno, un dato che influisce sulla flessione del dato della disoccupazione. Dall’altra, il tristissimo computo dei nuclei familiari a reddito zero, saliti a 736.900.

A spargere sale sui germogli della presunta ripresa celebrata dal Pp ci sono anche l’Ocse (che raggruppa i 34 Paesi più sviluppati al mondo) e l’Unione europea. Nelle previsioni di lunedì, Bruxelles ha pronosticato un’incolore crescita dell’1,1% del Pil per l’anno in corso e, soprattutto, fissa la previsione sul tasso di disoccupazione per il 2015 al 24%, condannando la Spagna alla coda della Ue in compagnia della Grecia. L’Ocse è dello stesso avviso: la ripresa spagnola si preannuncia «debole e lenta», ragion per cui la percentuale dei senza lavoro (che ora sono 5.933.00, cioè il 25,93%) non scenderà, secondo le stime dell’organizzazione, al di sotto della soglia fatidica del 25%. Sono numeri che fanno intuire, dietro la granitica facciata di ottimismo del governo, gli ormai cronici problemi che hanno segnato questi anni di crisi. Lo ha sottolineato Willy Meyer, il capolista alle europee di Izquierda Unida (Iu), la forza che sostiene Alexis Tsipras: il piano anticrisi del governo «non ha fatto altro che determinare l’aumento del divario tra ricchi e poveri, incrementando il numero degli uni e degli altri».

Izquierda unida al 12%

Stasera, a Madrid, con un meeting-concerto Iu inizia la sua campagna elettorale, che scocca alla mezzanotte (così prevede la legge spagnola). Un appuntamento a cui arriva con sondaggi incoraggianti, che le assegnano circa il 12%. Le stesse previsioni dicono che sarà un testa a testa fra il Pp e i socialisti del Psoe (attorno al 32%), guidati in questa competizione dalla vicesegretaria Elena Valenciano. Otterranno rappresentanza a Strasburgo anche altre cinque liste minori, grazie a un sistema proporzionale a collegio nazionale unico, senza sbarramento: dal cartello dei nazionalisti di centro-destra catalani e baschi (4,7%) agli ecologisti di Equo (1,8%).