La Spagna ieri è entrata ufficialmente in crisi. Nello stesso giorno, ha superato in mattinata la soglia psicologica dei mille casi di persone contagiate dal coronavirus per passare nel pomeriggio a più di 1200, di questi quasi la metà solo a Madrid. Le vittime fino a ieri erano 29.

In serata, dopo una lunga riunione al ministero della salute, la Comunità di Madrid ha preso l’attesa decisione drastica: chiuse tutte le scuole e le università della comunità per due settimane a partire da domani. Una misura che colpisce un milione e mezzo di persone e che arriva dopo che il governo autonomo aveva già cercato di mitigare l’effetto di un sistema sanitario al collasso, con l’apertura di 300 posti per personale sanitario.

Le consegne finora erano state: non esagerare, tranquillizzare e fare pedagogia sulle misure igieniche per evitare la diffusione del virus. La voce flautata e serena del medico saragozzano Fernando Simón, a capo del Centro di coordinamento delle emergenze sanitarie del ministero della Salute, ogni giorno era quella incaricata dal governo di dare le ultime notizie sull’inarrestabile diffusione dei contagi in territorio spagnolo, senza però trasmettere l’urgenza di prendere decisioni draconiane come quelle arrivate ieri sera.

Era arrivato a non sconsigliare lo svolgimento delle manifestazioni per l’8 marzo, che infatti come sempre sono state numerose e molto frequentate.

Ma ieri c’è stato l’atteso punto di inflessione. La chiusura delle scuole nella capitale si è unita alla decisione della comunità basca di chiudere anche tutte le scuole della città di Vitoria, anche qui per due settimane: i due principali fuochi dell’infezione in Spagna sono infatti proprio la comunità di Madrid ed Euskadi, i paesi baschi.

Come nel resto del mondo, oltre alle persone più fragili, come gli anziani affetti da malattie respiratorie, la principale preoccupazione è quella di non voler collassare il sistema sanitario, che tutti immancabilmente definiscono come un mantra «uno dei migliori al mondo».

A Barcellona per ora sono stati chiusi solo un asilo nido comunale e una delle sedi delle Scuole ufficiali di lingue, e in altre città spagnole sono state prese analoghe misure, ma sempre per scuole individuali. Per ora nulla di paragonabile a quanto accaduto in Italia, anche se tutte le scuole e le università sono in attesa delle decisioni dei prossimi giorni.

L’aria di emergenza si respirava già ieri mattina, quando per la prima volta Pedro Sánchez ha presieduto la riunione della task force governativa che segue la faccenda e sempre per la prima volta ha parlato della questione, annunciando che a giorni verrà presentato un piano shock che il governo starebbe preparando da due settimane: «Non vogliamo essere precipitosi», era stata la giustificazione.

Vedremo se l’emergenza costringerà il presidente ad accelerare le decisioni. Ma il suo stesso ministro della salute, Salvador Illa, ieri in tarda serata, annunciando nuove decisioni già per oggi, ha ammesso in una conferenza stampa che «i dati indicano un peggioramento dell’evoluzione della malattia in Spagna», soprattutto in alcune zone (Madrid, Vitoria e la località di Labastida, sempre in Euskadi) e ha raccomandato in queste località il telelavoro e flessibilizzazione degli orari. Anche la partita Sevilla-Roma si giocherà a porte chiuse.