Al confine tra Siria e Turchia continua la battaglia per la ridefinizione degli equilibri di potere. Ankara non demorde, guidata dal mantra della caduta del presidente siriano Assad, e allarga il sostegno a quelle opposizioni che sul campo non sono efficaci da tempo. Ai margini lascia chi si oppone allo Stato Islamico da 4 mesi: la controffensiva kurda a Kobane trova ogni giorno nuova forza, riuscendo nell’impossibile, ripulire quasi del tutto la città al confine dagli islamisti.

Ieri l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani ha dato la misura della resistenza delle Unità di Difesa Popolari: «I kurdi hanno ripreso l’80% di Kobane, grazie al continuo arretramento dello Stato Islamico – ha detto il direttore dell’Osservatorio, Rami Abdurrahman – Nelle ultime 7 settimane l’Isis non è riuscito a prendere nemmeno una strada di Kobane e ha perso terreno».

Così quella che pareva una guerra persa in partenza – la resistenza popolare e il progetto democratico di Rojava, modello dell’ideologia del Pkk, contro l’impressionante forza militare del califfato – è oggi il simbolo della speranza kurda.

Ma nonostante i risultati ottenuti con poche armi e il sostegno relativo dei raid della coalizione, a remare contro Kobane è ancora la Turchia. Intenzionata a spezzare l’unità della resistenza kurda e ad evitare che il modello Rojava contagi il sud del paese, Ankara – accusata di sostenere i miliziani islamisti, fornendo loro armi e spazio di manovra – lavora all’addestramento e armamento delle opposizioni anti-Assad. Per farlo sta finalizzando in questi giorni con Washington l’accordo per l’addestramento dei ribelli moderati siriani da lanciare contro l’Isis, ma soprattutto contro Damasco, a partire da marzo.

Il programma, finanziato dagli Usa, addestrerà in territorio turco 15mila miliziani in tre anni. Il via libera al piano arriva mentre la Coalizione Nazionale Siriana, federazione delle opposizioni moderate e braccio politico dell’Esercito Libero, cambia la sua leadership: lunedì è stato eletto il nuovo rappresentante, Khaled Khoja, che sostituisce Hadi al-Bahra.

Khoja, 49enne turkmeno indipendente (a differenza del predecessore, strettamente legato all’Arabia saudita), deve salvare il salvabile: in drastico calo di consensi, la Coalizione è vista dai siriani come un soggetto distante, con scarsa conoscenza della situazione reale, incapace di definire una concreta alternativa politica.

Eppure, come primo atto politico, Khoja ha seguito i passi dei predecessori e rigettato la proposta russa di negoziato con Damasco, previsto per la fine del mese: «Il dialogo con il regime che Mosca ha chiesto è fuori questione. Non possiamo sedere allo stesso tavolo con il regime, tranne nel caso che il negoziato intenda puntare ad una transizione pacifica e alla formazione di un ente con pieni poteri che guidi la transizione stessa». Un corpo temporaneo a cui Assad non possa mettere mano: ancora una volta la Coalizione finge di non vedere gli attuali equilibri di potere.