Il presidente turco Erdogan non molla e continua nel giro delle sette chiese per salvare se stesso dalla battaglia di Idlib. Annunciata, preparata, ma ancora sospesa. Lunedì Erdogan sarà a Sochi per incontrare di nuovo il russo Putin dal quale, il 7 settembre, ha ricevuto un secco no alla richiesta di tregua sulla provincia nord-ovest siriana.

E ieri ha ospitato a Istanbul un vertice con francesi, tedeschi e russi per impedire la battaglia finale tra governo e milizie islamiste. Per ora di scontri non ce ne sono: dopo le prime bombe governative piovute sulla provincia-hub jihadista i primi di settembre, l’offensiva di Damasco è andata in stand by.

I governativi, arroccati lungo il perimetro di Idlib, non entrano mentre ieri il ministro degli Esteri russo Lavrov annunciava l’intenzione di aprire un corridoio umanitario. Secondo l’Onu, sono 38mila i civili finora fuggiti su tre milioni, il triplo della popolazione originaria: è qui che si sono ammassati islamisti e qaedisti e i loro familiari dopo le evacuazioni da Aleppo, Ghouta, Deraa.

Si posizionano anche gli altri: la Turchia sta rafforzando la presenza militare al proprio confine sud e quella interna alla Siria, tra la provincia di Hama e Idlib. E, dicono fonti delle opposizioni, sta inviando armi da fuoco, munizioni e missili Grad ai gruppi islamisti che da anni sponsorizza e che ha utilizzato a piene mani per occupare il cantone curdo di Afrin, a Rojava.

Non è detto che lo scontro ci sarà: i russi sono cauti, i siriani rallentano («L’operazione non è cancellata, ma abbiamo tempo», diceva ieri una fonte governativa), i turchi cercano di impedire una battaglia che potrebbe mettere fine all’idillio con Mosca.

A sud invece si muove un attore che da Idlib pare assente: gli Stati uniti, fa sapere un gruppo di opposizione creato nel 2015 dalla Cia, Maghawir al Thawra, hanno concluso otto giorni di esercitazione con marines e miliziani anti-Assad a Tanf. Località affatto casuale: qui transita l’autostrada Damasco-Baghdad. E ci transitano gli aiuti militari dall’Iran. È a Teheran che gli Usa mandano un messaggio.