Mancava Roma all’appello dell’interventismo europeo in Medio Oriente: ieri il Corriere della Sera scriveva che quattro Tornado italiani, impegnati in voli di ricognizione anti-Isis nei cieli iracheni, prenderanno parte nelle prossime ore ai raid della coalizione, in coordinazione con l’esercito Usa. Il Ministero della Difesa si è affrettato ad intervenire: «Nessuna decisione sulle operazioni aeree in Iraq. Sono ipotesi da valutare con gli alleati e dovranno passare per il Parlamento». Non certo una smentita, che arriva mentre il segretario alla Difesa Usa Carter volava a Sigonella.

Ogni giorno di più l’atmosfera che aleggia sulla regione è da guerra fredda. I fronti, memoria del secolo passato, si posizionano e contro la Russia scende in campo la Nato. Ieri il Patto Atlantico ha accusato Mosca di voler trascinare l’Occidente nel campo siriano, usando come esca la Turchia. Per due volte, fa sapere Alexander Grushko, inviato Nato in Russia, i jet dell’aviazione russa hanno violato i cieli turchi. Quello che Mosca ha definito lunedì un errore, aggiunge Grushko, è una chiara strategia: lanciare una guerra di propaganda con i 28 paesi del Patto Atlantico.

«L’incidente è usato per trascinare la Nato in una campagna mediatica che distorca i reali obiettivi dell’operazione russa», ha detto l’inviato Nato in una conferenza stampa a Bruxelles. A Grushko fa eco il segretario generale Stoltenberg: «Un aereo da guerra russo ha violato i cieli turchi. È inaccettabile. È successo almeno due volte. Le informazioni che ho dicono che non è un incidente». Entrambi i casi si sono verificati tra sabato e domenica.

Non solo i cieli: il Patto Atlantico ne è convinto, Mosca ha già gli stivali sul terreno, i suoi soldati stanno combattendo accanto all’esercito di Assad. «La sostanziale estensione delle forze russe in Siria – ha aggiunto Stoltenberg – include truppe di terra in connessione con la base aerea che possiedono». Fatti che, reali o meno, servono ad un Occidente spiazzato dall’azione russa – seguita ad aperture per un intervento comune – ad accusare l’altro fronte di provocare un’escalation del conflitto. La Russia continua a smentire: l’ammiraglio Komoyedov, capo del comitato alla difesa della camera bassa del Parlamento, ha ribadito che i propri soldati non saranno coinvolti in azioni di guerra né ora né in futuro, ma nell’addestramento dei militari siriani e nell’incremento dei raid aerei.

All’isteria occidentale si accoda la Turchia: ieri il presidente Erdogan ha lanciato a Mosca un avvertimento, specchio del nervosismo dell’Akp, che sulla guerra ad Assad ha fondato anni di strategia regionale e sulla sua testa si gioca la credibilità internazionale. «Se la Russia perde un amico come la Turchia con il quale coopera, perderà molto di più. Un attacco alla Turchia è un attacco alla Nato».

Mentre i fronti si scontrano sul palcoscenico della diplomazia mondiale, sul campo di battaglia la guerra continua. L’agenzia di Stato siriana ha riportato ieri di raid congiunti russi e siriani contro postazioni Isis nell’antica città di Palmira. Secondo l’agenzia Sana, i bombardamenti hanno distrutto 20 veicoli blindati e tre depositi di munizioni. Mosca si è affrettata a smentire: l’aviazione non colpisce aree popolate né zone archeologiche. In ogni caso, la collaborazione tra Damasco e Mosca è concreta e volta al raggiungimento degli obiettivi strategici russi: sostenere Assad per farlo sedere al tavolo del futuro ed ineluttabile negoziato.

Ai movimenti russi, il presidente Usa Obama – convinto che i soldati russi saranno protagonisti di operazioni via terra, a partire da Homs e Idlib – ha risposto lunedì con l’ordine di armare 25mila combattenti, già attivi sul terreno, per evitare le figuracce rimediate nei mesi scorsi con il programma di addestramento in Turchia. Tra questi, 20mila combattenti kurdi siriani, un sostegno che preoccupa Ankara. Sfruttato come scusa per attacchi alla Russia, il governo turco è messo all’angolo non solo dalle politiche russe ma anche dagli stessi Stati uniti: i kurdi siriani sono legati, armati e ispirati politicamente dal Pkk, incubo turco.

Alla preoccupazione di Erdogan si aggiunge quella del Golfo, altra “vittima” di Mosca. In prima linea vengono spediti i religiosi sauditi che minacciano un intervento anti-russo. Segue la voce dei gruppi islamisti in Siria: le opposizioni sunnite hanno fatto appello all’unità contro il nuovo fronte. Gli interessi comuni di Riyadh e islamisti non potrebbero essere più palesi.