Presentato lo scorso anno al Festival di Cannes, nella selezione della Settimana della critica, dove ha suscitato infinite discussioni, polemiche, e nette prese di posizione – c’è chi l’ ha amato e chi lo ha odiato visceralmente – Tribe di Myroslav Slaboshpytskiy arriva ora nelle nostre sale (distribuisce Officine Ubu). Si tratta di un’opera prima, Slaboshpytskiy ha alle spalle tre cortometraggi selezionati ai festival di Berlino e di Rotterdam, tutti molto apprezzati dal pubblico. Il fatto che il lungometraggio fosse ucraino ha contribuito ad attirare il pubblico. Non capita tutti i giorni che un film parli di questo paese, che dall’oggi al domani è diventato il nuovo fulcro geopolitico. Del resto una delle più antiche vocazioni del cinema è proprio quella di raccontare il presente; partecipare ad un grande festival è anche un modo per ricevere notizie di paesi e popoli lontani. Tribe si è dato anche una sua missione particolare, assai sorprendente; e tutti alla prima proiezione in sala aspettavano di capire quale fosse il risultato. Lo stesso vale ora per il pubblico. Il film infatti è interamente parlato con il linguaggio dei non udenti e, volontariamente, non sottotitolato. Per quelli che capiscono questo linguaggio si tratta di una esperienza molto speciale. Per tutti gli altri (me per esempio) la sensazione è stata diversa, ma non meno proficua.

Un ragazzo arriva in un istituto speciale per giovani non udenti. L’istituto dovrebbe essere un luogo di accoglienza e di studio. È soprattutto una piccola scuola del crimine urbano. Appena arrivato, il nostro eroe è prima bastonato, poi messo alla prova, infine integrato nel branco di giovani sordomuti che, con la complicità di una parte del personale dell’istituto, è dedita al furto, al teppismo e ad altre attività sul genere Arancia meccanica. Tra queste, la principale è lo sfruttamento di due ragazze. Quando uno dei protettori muore, il nostro eroe prende il suo posto, ma si innamora di una delle due prostitute, e cominciano allora i guai…

Tutti i protagonisti di Tribe sono non udenti. E quelli che non lo sono (per esempio i camionisti che ricevono le attenzioni delle due giovani prostitute) non viene mai offerta l’occasione di parlare (comunicano con i protettori attraverso un taccuino). La situazione, oggigiorno, è inedita. Ma non spiacevole. L’idea di Tribe è di creare un film doppio, uno per i non udenti e uno per gli udenti. Questi, non comprendendo i segni si affidano ai rumori (molto studiati) e alla mise en scene, estremamente didattica, con delle sequenze prive di qualunque ellissi. In breve, due film: uno che parla al pubblico dei non udenti e non agli altri e viceversa, nel quale entrambe le tribù siano, per una volta, uguali.

Ora, questa forma, senza tagli, ha come conseguenza di esaltare il contenuto, di suo già sadico. Come nella scena dell’aborto clandestino, filmato dalla A alla Z, in maniera, letteralmente e metaforicamente, clinica. Il film è stato accolto molto bene. È diventato un piccolo caso. Qualcuno ha fatto notare che la comunità dei sordomuti viene equiparata al teppismo e che questo non è bene. Per parte mia gli troverei altri difetti. Il fatto stesso di chiudersi in un dispositivo me ne pare uno. È del resto una tendenza sempre più generale nel cinema est-europeo. Ahimè.