Quella trascorsa tra venerdì e sabato è stata una lunga notte, la più faticosa da quando l’operazione Mediterranea è iniziata il 4 ottobre. Abbiamo partecipato alla nostra prima missione di soccorso in mare. Tutto è iniziato alle 19 quando Radio Malta ha diffuso un messaggio Naftex indirizzato a tutte le navi operanti nella zona che segnalava la presenza e le difficoltà di un’imbarcazione con a bordo circa 70 persone che si muoveva tra le acque tunisine/maltesi e quelle italiane. Abbiamo preso contatto con le nostre fonti, in particolare con Alarm Phone che da anni è un punto di riferimento per i migranti in partenza dal Nordafrica, e che ci ha spiegato di non avere informazioni specifiche al riguardo.

COME PREVEDONO LE NORME e la prassi abbiamo contattato il Centro di coordinamento dei soccorsi gestito a Roma dalla Guardia Costiera e l’Mrcc, i quali ci hanno detto che siccome la posizione segnalata era in zona Sar (Search and rescue) di competenza maltese, era al Centro di coordinamento dei soccorsi di la Valletta che dovevamo fare riferimento. Così, abbiamo preso contatto sia via telefono satellitare che via mail con la Guardia Costiera maltese. Ci è stata confermata la situazione di difficoltà dell’imbarcazione e ci è stato detto che le informazioni relative provenivano da un motopeschereccio tunisino che l’aveva incrociata e la stava accompagnando per un tratto di mare. Ci è stato anche detto che in quel momento Malta non aveva a disposizione alcun asset, cioè non era in grado di impiegare alcuna imbarcazione della guardia costiera per la ricerca e il soccorso di questi migranti.

A questo punto abbiamo deciso di dirigerci a tutta forza verso il punto che ci era stato indicato, a circa 40 miglia dalla nostra posizione. Il che ha significato affrontare il mare per circa 4 ore e mezza. Nel frattempo, vista la prossimità del punto segnalato alla zona di competenza dell’Italia, abbiamo iniziato a chiamare non soltanto il Centro di coordinamento dei soccorsi di Roma chiedendo che intervenissero loro vista l’assenza di navi maltesi e le quattro ore che servivano a noi per arrivare sull’obiettivo, ma anche, grazie alla presenza a bordo del deputato Erasmo Palazzotto, il Comandante generale delle capitanerie di porto, l’ammiraglio Pettorino, e l’autorità politica da cui dipendono sia il Comando generale delle capitanerie di porto che il Centro di coordinamento dei soccorsi di Roma, vale a dire il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli.

Abbiamo avuto diverse comunicazioni non con il ministro in persona ma con il suo capo di staff da cui è emersa chiaramente da parte del governo italiano l’intenzione di lavarsene le mani. Perciò, l’onorevole Palazzotto si è messo in contatto anche con quello che è il suo interlocutore diretto dal punto di vista parlamentare, ovvero il presidente della Camera, Roberto Fico. Nel frattempo, abbiamo continuato a procedere a tutta forza e siamo arrivati a circa 5 miglia dal punto in cui la guardia costiera maltese ci aveva indicato l’imbarcazione alla deriva. Qui, mentre continuavamo le comunicazioni con Roma e con Malta dalla plancia di comando, abbiamo anche iniziato a preparare la nave Jonio con il suo equipaggio – vista l’inazione fino a quel momento della guardia costiera maltese e italiana – per poter condurre autonomamente le operazioni di ritrovamento, intercettazione e soccorso delle 70 persone a bordo del barcone.

 

 

QUESTO COSA HA SIGNIFICATO? Che in ben 3 occasioni abbiamo messo a mare dal ponte della Mare Jonio il Rescue boat che doveva servire per tenerci a distanza di sicurezza con nave – che è un rimorchiatore di 300 tonnellate e 37 metri e mezzo di lunghezza – e poter quindi identificare e avvicinare con la necessaria tranquillità e cautela il barcone dei migranti con il gommone predisposto per il salvataggio.

A BORDO DEL GOMMONE sono salite le persone preparate per le attività di salvataggio con una dotazione di un centinaio di life jacket – i salvagenti di sicurezza arancioni -, in modo da mettere subito in sicurezza i migranti una volta ritrovati. Nell’area che era stata indicata dalle autorità maltesi però non abbiamo potuto intercettare il barcone così come nell’area che ci era stata successivamente indicata dalle autorità italiane. Abbiamo perlustrato la zona ma senza trovare il barcone e ci siamo quindi diretti verso nord ipotizzando una rotta sospinta dai venti che portasse l’imbarcazione dei migranti verso Lampedusa e le acque territoriali italiane. Contemporaneamente insistevamo nei contatti istituzionali e con il comando operativo del Centro di coordinamento di soccorso in mare di Roma affinché da Lampedusa potessero partire e intervenissero tempestivamente le motovedette della guardia costiera italiana.

Giunti a circa una decina di miglia a sud di Lampedusa è arrivato finalmente il messaggio che attendevamo con ansia, trepidazione e con forti timori per la sorte dei 70 bambini, donne e uomini che erano a bordo dell’imbarcazione in difficoltà. A meno di 5 miglia dal porto di Lampedusa, una motovedetta della guardia costiera italiana, finalmente uscita a pattugliare le acque, era stata in grado di individuare, intercettare e accompagnare in porto il barcone. Infine, il barcone è arrivato intorno alle quattro nel porto di Lampedusa e delle condizioni medico-sanitarie delle persone a bordo si sono occupati i sanitari del sovrano ordine militare di Malta che collaborano per quanto riguarda la parte di pronto soccorso con la guardia costiera.

A bordo abbiamo potuto tirare finalmente un vero e proprio sospiro di sollievo per una vicenda che era iniziata alcune ore prima sotto i peggiori auspici – il gioco a scaricabarile tra il governo italiano e quello maltese – e che si era invece conclusa positivamente, crediamo anche grazie all’intervento di osservazione e di monitoraggio condotto dalla Mare Ionio e alla pressione che Operazione Mediterranea ha esercitato per ore nei confronti del governo di Roma e di quello di Malta.

La vicenda si è conclusa positivamente siamo soddisfatti che 70 vite siano state tratte in salvo. Siamo soddisfatti del fatto che queste 70 vite – e le notizie parlano soprattutto di bambini, donne e uomini provenienti dalle regioni in guerra del Corno d’Africa dall’Eritrea dall’Etiopia e dal sud Sudan – non siano nelle grinfie della cosiddetta Guardia costiera libica, non siano finiti in qualche centro di detenzione a subire le quotidiane violenze, torture, stupri che gli organismi internazionali ci raccontano, testimoniano e confermano essere la condizione quotidiana dei centri detentivi libici. Siamo felici che queste 70 persone, la gran parte delle quali è perfettamente titolata a richiedere asilo nel nostro paese, siano invece ora al sicuro in un porto italiano.

Questa vicenda però, il suo svolgersi, la cronaca minuta che ne abbiamo fatto e che faremo, testimonia invece di una situazione non più accettabile nel mare Mediterraneo. Le politiche disumane condotte in questi mesi dal governo italiano e dai governi europei hanno portato ad una situazione per cui il dispositivo di ricerca e soccorso in mare che dovrebbe essere garantito dalle guardie costiere di tutti i paesi riveraschi e dalle autorità militari che comunque operano nella zona – nelle acque del Mediterraneo centrale incrociano le imbarcazioni e gli aerei delle forze navali europee dell’operazione Sophia e l’operazione di polizia di frontiera europea condotta da navi militari e delle guardie costiere sotto le bandiere di Frontex, l’operazione Tenis.

Tutta questa presenza di guardie costiere e mezzi militari per le pressioni e le ingerenze politiche sulle attività di soccorso in mare condotte dai governi, e in particolare in questi ultimi mesi dal governo italiano, fa si che la definizione delle zone di soccorso Sar, i protocolli di intervento e le stesse regole operative di ingaggio non sono affatto in grado in questo momento di assicurare condizioni di salvataggio in mare e approdo in un porto sicuro per le centinaia e centinaia di uomini donne e bambini che ogni giorno continuano perché sono costretti a farlo, a scegliere la strada del mare, a scegliere le pericolose rotte del Mediterraneo, in fuga e cercando soccorso, rifugio e accoglienza sulle coste europee in particolare sulle isole e le coste del nostro Paese.

Da questo punto di vista l’Operazione Mediterranea è convinta di avere già ottenuto durante questa sua prima missione – oggi è il nono giorno di missione della nave Mare Jonio e delle barche che in questa prima missione l’hanno supportata in stretta e fondamentale collaborazione con due tra le più importanti organizzazioni non governative internazionali che sono intervenute in questi anni in assenza di attività da parte degli stati nel Mare Mediterraneo, la tedesca Sea Watch e la spagnola Open Arms – un importante risultato. Abbiamo reso evidente che non solo le partenze non sono state bloccate dalla politica disumana del governo italiano e degli altri governi europei, queste partenze continuano. E, mentre, il dispositivo di soccorso e recupero in mare delle imbarcazioni dei migranti in difficoltà è ormai da mesi largamente insufficiente e inadeguato a questo flusso continuo di migranti, siamo felici di avere potuto contribuire con il nostro intervento al salvataggio delle persone su questo barcone.

Ma la nostra missione continua, continueremo ad essere presenti nel Mediterraneo centrale per osservare e denunciare la situazione ed eventualmente prestare il nostro contributo. Siamo attrezzati e pronti per farlo a soccorso delle persone che si trovassero in difficoltà in mare.