Su ogni angolo, qui, la ciminiera della centrale a carbone incombe come un moloch implacabile. Simbolo di un’industrializzazione, gestita dai grandi trust mondiali dell’alluminio, che ha divorato energia fossile avvelenando l’aria, il mare e la terra. Vale per Portoscuso ma vale anche per tanti altri luoghi, in Sardegna.

DUE SU TUTTI: SARROCH (due dirigenti della Saras sono indagati dalla procura di Cagliari per gli scarichi di sostanze potenzialmente inquinanti) e Porto Torres, contaminata dal polo chimico. Eppure, viste le particolari condizioni climatiche (tanto vento e tanto sole) l’isola potrebbe diventare una regione a energia totalmente rinnovabile, abbandonando il carbone e il metano. Potrebbe accadere entro il 2050: lo dice uno studio commissionato dal Wwf e realizzato dall’Università di Padova e dal Politecnico di Milano (l’ExtraTerrestre ne ha scritto qualche mese fa, quando il report è stato diffuso). Secondo gli esperti il raggiungimento della neutralità climatica necessiterebbe di 4 miliardi di euro di investimenti entro il 2030 e di 20 miliardi nella seconda fase. Tra gli altri benefici ci sarebbe l’occupazione, stimata in 4 mila unità entro il 2030 e in 9 mila unità entro il 2050.

LA POSSIBILITÀ DI VOLTARE PAGINA, quindi, ci sarebbe. Ma a questo orecchio il ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani, non ci sente. Metano à gogo è il futuro energetico che il governo Draghi, con un Dpcm firmato lo scorso 31 marzo, ha assegnato alla Sardegna. E’ vero che ci sono anche, nel piano di Cingolani, la chiusura delle due centrali sarde a carbone (Portoscuso e Porto Torres) e un grande parco di batterie elettriche gestito dall’Enel per stoccare e distribuire energia prodotta da fonti rinnovabili. Ma l’asse portante del progetto è il gas.

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CONTROFIRMATO DAL MINISTRO per lo sviluppo economico Giorgetti, il decreto prevede un forte potenziamento del sistema a metano. Il governo ha sì bocciato il progetto (sostenuto da Eni e da Snam e sponsorizzato dalla giunta sardo-leghista di Christian Solinas) di un grande gasdotto da Cagliari a Sassari costruito e gestito da Snam con diramazioni in tutte parti dell’isola, ma lo ha sostituito con il via libera a tre punti di stoccaggio di combustibile fossile: una nave gasiera a Portoscuso con una capacità adeguata a servire tutto il sud dell’isola, un’altra piattaforma galleggiante a Porto Torres per rifornire il nord, un deposito a terra nell’area portuale di Oristano che approvvigionerà le zone centrali. Il gas arriverà a Portoscuso, a Porto Torres e a Oristano con navi «spola», che partiranno dal rigassificatore di Panigaglia, alla Spezia, e dal centro di stoccaggio off shore di Livorno. Tutto gestito da Snam, per un investimento tra i 2 e 3 miliardi.

IL VICESINDACO DI PORTOSCUSO, Ignazio Atzori, è un uomo minuto e schivo. E’ arrivato qui nel 1976 da neolaureato, per fare il medico condotto. Nel suo piccolo studio al quarto piano di un fabbricato tinteggiato di rosa che ospita gli uffici del municipio, parla a nome dell’amministrazione (di centrosinistra) guidata dal sindaco Giorgio Alimonda. Che non c’è. E’ a Cagliari a cercare di convincere i palazzi del potere regionale che per Portoscuso il Dpcm Draghi-Cingolani è un disastro. «Noi – dice Atzori – la nave gasiera non la vogliamo. Il deposito galleggiante avrà una capacità di 130mila tonnellate di metano.

UN MOSTRO LUNGO 290 METRI ancorato a uno dei moli del nostro porto industriale, Portovesme, a poche centinaia di metri dalla centrale a carbone e in un’area che ospita uno dei più importanti poli metallurgici italiani: gli stabilimenti di Alcoa, Portovesme srl e Sider Alloys. Non ci vuole molto a capire che la presenza della gasiera creerebbe enormi problemi di sicurezza. Tra le attività del porto, poi, ci sono i traghetti di collegamento con l’isola di Carloforte, che vive di turismo, settore sul quale il deposito di metano avrebbe effetti devastanti. E’ inaccettabile che ci si chiami ad avvallare, senza nemmeno valutare opzioni alternative che pure ci sarebbero, decisioni calate dall’alto».

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A UN’EVENTUALE PENURIA DI METANO causata dal conflitto in Ucraina il governo Draghi sembrava voler ovviare rimandando la chiusura degli impianti a carbone prevista dal Piano energetico nazionale per il 2025. Ma, almeno per quanto riguarda i due siti sardi, restano fissati a quella data sia lo stop di Porto Torres (proprietà EPH, un gruppo ceco) sia quello di Portoscuso (Enel). «Spengono il carbone – commenta Atzeni – e va bene. Ma agli oltre cento tra operai e tecnici che lavorano nella centrale bisognerà pure garantire un futuro».

SCELTA VERDE PALLIDO. C’è poi il capitolo energie alternative. Il Dpcm autorizza l’Enel a realizzare in Sardegna (questi i termini del contratto già stipulato dal gruppo guidato da Francesco Storace con Terna, l’ente che gestisce la rete elettrica nazionale) due grandi impianti di batterie alimentate da fonti rinnovabili: uno da 247 megawatt nel nord dell’isola e uno da 253 a sud (i siti sono ancora da individuare). Secondo il progetto Draghi-Cingolani, l’energia stoccata nelle batterie in Sardegna sarà immessa dall’Enel nella rete nazionale Terna «a richiesta» attraverso una nuova infrastruttura: un cavo sottomarino da 550 megawatt di potenza tra la Sardegna e la Sicilia.

ENEL GESTIRÀ IN ESCLUSIVA I PARCHI di batterie, ma con i suoi impianti green già operativi in Sardegna produrrà solo una parte dell’energia da accumulare. Il grosso verrà da parchi di pannelli solari e di pale eoliche realizzati e gestiti da società private. Non una riga, nel progetto Draghi, sull’incentivazione fiscale dell’autoproduzione da rinnovabili gestita da singoli o da comunità. Un obiettivo che era persino nel piano energetico della giunta di centrosinistra presieduta da Francesco Pigliaru e che il sardo-leghista Solinas ha cancellato. Come Cingolani.