La celebrazione della Diada di quest’anno, la festa nazionale catalana, arriva in un momento di profonda crisi dell’indipendentismo, nel bel mezzo di una pandemia che sconsiglia la convocazione delle manifestazioni massive che avevano accompagnato la celebrazione di questa festa negli ultimi anni. Le associazioni indipendentiste Anc e Òmnium cultural (il cui presidente è uno degli incarcerati dopo il referendum di tre anni fa) non hanno però voluto rinunciare alle rivendicazioni politiche, e hanno optato per la convocazione di 107 concentrazioni “statiche” in 82 comuni catalani, invitando a mantenere tutti la distanza di sicurezza, senza striscioni o cartelli che non siano strettamente individuali.

Le più grandi saranno comunque a Barcellona (10mila persone davanti a 4 edifici emblematici che rappresentano il governo spagnolo). Con il motto «il dovere di costruire un mondo migliore. Il diritto a essere indipendenti», i promotori vogliono dimostrare che «l’indipendenza è possibile e più necessaria che mai». Ma i partiti indipendentisti, al governo della Generalitat, sono ormai in rotta da mesi: la settimana prossima il presidente Torra verrà interdetto per aver disobbedito a indicazioni della giunta elettorale durante le ultime elezioni e decadrà, ma non ha intenzione di convocare le elezioni che aveva promesso a gennaio una volta certificata l’incompatibilità coi soci di Esquerra republicana.

Nel frattempo, il suo stesso partito si è diviso fra chi segue la linea di Puigdemont di scontro, e chi recupera la posizione “pattista” che era stata di Convergència, partito da cui tutti provengono. Rispetto al futuro politico, Torra difende la linea Puigdemont: non presentare un candidato alternativo alla Generalitat e aspettare lo scioglimento automatico dopo 60 giorni, che porterebbe le elezioni a febbraio. L’interim passerebbe al suo vice, il futuro candidato di Esquerra, Pere Aragonés.