Il 20 settembre prossimo sarebbe stato il quarantaduesimo compleanno di Francesca Pilla, corrispondente de «il manifesto» da Napoli e ideatrice del supplemento «Metrovie». Francesca ci ha lasciato prematuramente il 22 maggio dell’anno scorso.

Per ricordarla scegliamo le sue parole. Una cronaca del 29 luglio 2008 sullo sgombero che da Pianura, periferia ovest di Napoli, portò i migranti ad occupare il Duomo. Seguito dall’intervento violento della polizia. Parole di quasi dieci anni fa che sembrano parlarci di oggi e di chissà quanti altri sgomberi futuri.

Il racconto di Francesca ci ricorda che la denuncia civile non termina mai il suo compito. Questo spaccato d’Italia ci mostra quanto la Storia, anche recente, si ripeta e quanto le voci libere non debbano rimanere inascoltate affinché i soprusi ai danni degli ultimi​ non si ripetano più.
Grazie Francesca.

Le amiche e gli amici di Napoli
il collettivo del manifesto

Napoli non vale una messa

L’odissea degli sgomberati di Pianura non è finita. Dopo le barricate ai Quartieri spagnoli aizzate dalla destra, ieri l’intervento della polizia dopo l’occupazione del Duomo. Tre fermati, uno di loro trattenuto. I compagni denunciano: «È stato pestato, non lo rilasciano perché è messo male». Sotto accusa la «forzatura» della questura contro il Comune.

Gli occhi sono lucidi, per la stanchezza e per il pianto: «I cani li trattano meglio». Nonna e mamma, I. S., capoverdiana da 28 anni in Italia, una figlia di 22 nata italiana ma senza cittadinanza e una nipotina di due anni e mezzo: tutte da giovedì a dormire in strada. «Nonna, perché hanno chiuso la mia casa?», si domanda la bimba, portata in fretta da amici prima di occupare il Duomo nella speranza di essere ascoltati.

Sul sagrato della cattedrale l’odore dell’incenso si mischia al sudore, le vetrate filtrano il sole e una miscela di colori si stampano su una cinquantina di visi spaventati, su sguardi che chiedono aiuto, nemmeno chissà cosa, un ricovero come quello che il comune di Napoli ha provveduto a trovare per i 40 italiani dopo lo sgombero dello stabile di via Trencia a Pianura. «L’hanno appiccato quelli del quartiere il fuoco. Questo è uno stato razzista», I.S. si torce le mani e poi se le passa sui capelli.

Tanto tempo fa si bussava alle porte di una chiesa e si urlava «asilo», oggi i celerini entrano e ti portano in una camionetta, «per identificarti», e il vicario Gennaro Matino ti spiega che il cardinale Sepe non permetterà occupazioni. Così, mentre Abou Soumahoro, della Lega antirazzista, dice in francese che le cose si stanno mettendo per il verso giusto, che il sindaco Rosa Russo Iervolino a momenti riceverà una delegazione, che è solo una questione di ore, la scuola di via Pasquale Scura o il centro per migranti di via Vertecelli gestito dall’assessorato alle politiche sociali, dall’entrata si sentono delle urla.

Pochi secondi, il gruppo di migranti si stende sui banchi per le preghiere e una ventina sono fuori circondati dalle forze dell’ordine. Foto e filmati testimoniano che gli agenti prelevano un ragazzo, Musa Bouré, ivoriano: «Lo stanno pestando in quel furgone», urla un suo amico. Scatta un parapiglia, gli italiani, gli esponenti delle associazioni, tentano di fare scudo, spintoni, qualche manganellata e vengono trascinati via anche un altro uomo e una donna capoverdiana, Celeste Ramos, sindacalista della Uil-Immigrati.

Eppure si era a un passo così dal chiudere la cosa, i migranti avrebbero lasciato il Duomo dopo l’incontro con il sindaco, che aveva intenzione di trovare una sistemazione.

Perché? «Volevano lo scontro. Questo governo conferma che sulle questioni simboliche usa la forza, anche sulla pelle di esseri umani solo in cerca di aiuto», è incredulo uno degli attivisti no global di lungo corso.

Ma fuori dalle porte della cattedrale su questo concordano in molti, mentre le trattative con la Digos si fanno difficili. Per la Cgil che per tutta la mattina, attraverso un rappresentante dello sportello immigrati, Jamal Qaddarah, ha condiviso il tira e molla istituzionale, si tratta di «una aggressione premeditata e violenta contro poveri e disperati, l’ennesimo atto autoritario da parte del prefetto di Napoli».

Sul posto si precipitano gli esponenti di Rifondazione. «Gli immigrati, che oggi hanno occupato pacificamente il Duomo per chiedere di avere, per un loro diritto, un alloggio dignitoso, sono stati aggrediti e selvaggiamente pestati dalla polizia. Vanno subito individuati e puniti i responsabili», dichiara l’assessore Giulio Riccio, che deve anche provvedere a risolvere l’emergenza abitativa.

Gli stranieri si stringono tra gli inginocchiatoi, fuori c’è il cordone di polizia che pretende di identificarli. Ma in maggioranza si tratta di richiedenti asilo, o immigrati con regolare permesso d soggiorno, che in questi giorni sono andati a lavorare, a pulire le case dei napoletani, o i bar e i negozi, a scaricare mobili e pacchi per poi tornare a dormire in strada. I sans papier sono una manciata: «Ma questa conta è inaccettabile», dice ai suoi Abou.

Si parte con le telefonate per i tre fermati. Si mobilitano gli avvocati; Celeste e un suo connazionale vengono rilasciati, il ragazzo pestato no. «Hanno continuato a picchiarlo mentre ci portavano negli uffici», dice la sindacalista, mentre mostra un ematoma al braccio, segno delle percosse. Si teme che non vogliano rilasciarlo anche se Musa è un richiedente asilo e, secondo la normativa, regolare fino all’udienza di accettazione. «È messo male, per questo non lo liberano», conferma chi l’ha visto. Bisogna muoversi a tentoni, cercando di trovare soluzioni una per volta, senza peggiorare la crisi.

Alle cinque, dopo una assemblea per contarsi, si decide di liberare la cattedrale. La Digos assicura che non ci saranno identificazioni, né fermi. La curia tira un sospiro di sollievo e solo dopo essersi sincerato che i turisti possano tornare a visitare la casa del signore Matino, il vicario, rilascia un comunicato alle agenzie di stampa contro l’assessore Riccio: «Nessuno ha chiesto lo sgombero del Duomo. Chi ha fatto tali dichiarazioni, in qualche modo contravvenendo al suo ruolo istituzionale, deve poter dire quando Sua Eminenza ha chiesto o quando avrebbe chiesto di sgomberare la Cattedrale». Ma chi c’era all’incontro ha sentito con le proprie orecchie toni duri: non si ammettono occupazioni. E conta poco la volontà della chiesa di fare da tramite con un sindaco, tra l’altro, già disponibile e impegnato nella faccenda.

«È inaccettabile che la chiesa non abbia condannato la carica», taglia corto Abou, indaffarato a dirigere gli immigrati verso Palazzo San Giacomo, sede del comune. Ansia e una breve riunione con la Iervolino, poi finalmente i volti si rasserenano: l’ipotesi è una prima soluzione di cinque giorni, nella quale metà delle famiglie saranno spostate in una pensione a carico del comune, i restanti sistemati in una struttura della Provincia. Ma la buona notizia è che il sindaco farà attrezzare uno stabile, sulla cui individuazione, viste le proteste dei giorni scorsi ai Quartieri spagnoli, sobillate da una certa destra che pure ieri ha urlato alla violazione della libertà di culto per l’occupazione del Duomo, si mantiene il riserbo. Per gli italiani sgomberati, famiglie di senza casa dai tempi del terremoto, la gestione è stata invece «separata» e affidata alla Protezione civile.

Ora resta solo Musa Boure, che in serata è ancora in stato di fermo, ufficialmente per verificare la sua richiesta presentata alla questura di Bari.

Gli immigrati sono soddisfatti a metà: «Ora bisognerà affrontare una questione seria. La Campania non è più un’isola felice, ma sta affondando in una deriva culturale e di razzismo molto pericolosa. E Musa ne sta pagando le prime conseguenze», è l’ultimo commento di Abou.

* articolo pubblicato su il manifesto del 29 luglio 2008