Quando ero piccola, ho chiesto alla mamma che lavoro facesse. Mi ha spiegato che quando una donna è già incinta o vuole avere un bambino, viene da lei, la mamma le fa delle domande, legge le sue carte e poi le dice se il bambino sarà sano. Allora io mi sono convinta che la mamma fosse una profeta. Ovviamente la magia c’entrava poco, era tutto basato sulla scienza medica: la mamma era pediatra e genetista. Ha lavorato per anni, dal 1978 fino al 2000, nel più grande ospedale pediatrico polacco, il Centrum Zdrowia Dziecka a Varsavia.

Più di quarant’anni fa la genetica in Polonia era ancora agli albori. La mamma ha avuto la fortuna di avere come insegnante (nonché mentore durante la stesura del dottorato e angelo custode della borsa di studio in Inghilterra) il Prof. Jacek Zaremba dell’Istituto di Psiconeurologia di Varsavia. È stato lui a creare la consulenza genetica in Polonia. Questa consisteva nell’analisi delle informazioni fornite dalla donna (età, esistenza di malattie genetiche in famiglia ecc.) che permettevano di stabilire la percentuale del rischio della nascita di un bambino malato.

Nel corso degli anni mi ha raccontato diverse storie sulle pazienti che incontrava nel suo reparto. Il suo maestro, il Prof. Zaremba, le ha insegnato che alle donne bisognava dire sempre tutto, spiegare chiaramente la situazione, senza nascondere loro nulla, rispondere a tutte le domande, sempre alla luce dell’attuale stato delle conoscenze e in conformità alle leggi in vigore. La decisione sull’interruzione della gravidanza, in caso di un risultato negativo degli esami prenatali, spettava alla donna e alla coppia, dando sempre e comunque la precedenza al parere della donna. Qualche volta si dovevano creare le condizioni per avere un colloquio privato con la donna, per non farla suggestionare dalle opinioni del marito e della famiglia. Una volta venne una donna molto religiosa, con un grosso crocifisso al collo.

La mamma le spiegò i risultati degli esami, purtroppo negativi, tutti i pericoli che correvano sia lei che il feto. Le parlò della possibilità dell’interruzione di gravidanza, lasciando ovviamente la decisione finale a lei. La donna si alzò dalla sedia e si diresse in direzione della mamma con un’andatura minacciosa e una faccia cupa. La mamma aveva paura che le sue parole avessero potuto scatenare la rabbia di una paziente molto devota. La donna invece venne dalla mamma, l’abbracciò e sussurrò un grazie. Non ha mai incontrato una donna incinta – benestante o meno, giovane o meno, sposata o meno, credente o meno – la quale, una volta appresa la diagnosi di una malformazione incurabile del feto, avesse rifiutato la possibilità di ricorrere all’aborto.

La situazione attuale in Polonia la rende nervosa e triste: dopo aver assistito alla nascita e all’evoluzione della consulenza genetica e dopo aver visto l’importanza e il senso della diagnosi prenatale, ora, di fronte ai suoi occhi, tutto sta andando in malora.

La medicina va avanti e in Polonia si torna ai tempi dell’Inquisizione. Dopo i progetti di legge del 2016, 2018 e 2020, il 22 ottobre la Corte Costituzionale ha emesso la sentenza sull’incostituzionalità dell’aborto terapeutico. La decisione viene argomentata dalla presunta mancanza di prove dell’influenza negativa sulla psiche della madre e del padre nel caso della morte dovuta alla malformazione del feto. Ciò porta direttamente alla negazione della necessità degli esami prenatali, costringe le donne a portare in grembo dei feti malati e a partorire dei bambini destinati a sofferenze atroci negando, anche in questo modo, la possibilità di curare il feto ancora nel grembo materno: come ha spiegato qualche anno fa il compianto Prof. Romuald Dębski, uno dei migliori ginecologi polacchi, seguendo questo tipo di ragionamento non si potrà toccare il feto neanche con un ago per una trasfusione.

Con questa sentenza si conferma l’assoluto menefreghismo dello Stato nei confronti della donna e della sua salute mentale e fisica, per niente protetta a favore del feto. E quest’ultimo, difeso a tutti i costi mentre è ancora nel grembo materno, viene dimenticato subito dopo la nascita. I giudici della Corte Costituzionale sembrano vivere in un mondo parallelo dove esista una vera, piena e funzionante assistenza ai bambini disabili e alle loro famiglie. Qualche anno fa, il Prof. Zaremba, avvicinato dai rappresentanti dei cosiddetti ambienti pro-life, propose di aprire una lista di famiglie contrarie all’aborto disposte ad adottare i bambini portatori di handicap, per offrire una possibilità a chi prendeva in considerazione l’interruzione di gravidanza per motivi economici, di salute ecc. Aspettò diversi mesi, ma non si fece avanti nessuno.

Dopo le manifestazioni di piazza, il presidente polacco Andrzej Duda se n’è uscito con la sua proposta per calmare le acque. Secondo lui, l’interruzione della gravidanza può essere permessa soltanto nel caso di un danno letale al feto, escludendo ad esempio, i feti affetti da sindrome di Down. Quando ne ho parlato con la mamma, arrabbiata per la leggerezza delle diagnosi amatoriali da parte del presidente e della sua definizione campata in aria del danno letale, mi ha fatto notare che la sindrome di Down non può essere considerata un riferimento: il livello di gravità dei danni è molto variabile e nel 20% dei casi il feto muore prima del parto. In aggiunta, il fatto che Duda parli dell’eugenetica in quanto legata all’interruzione della gravidanza, ci fa capire quanto poco ne sa della consulenza genetica e della diagnosi prenatale che, in fondo, consistono proprio, a pensarci bene, nell’anti eugenetica.

La sentenza della Corte Costituzionale è stata talmente scioccante per le donne polacche, e non solo per loro, che non sorprende per nulla il fatto che in centinaia di migliaia sono uscite in strada a protestare nel cuore della pandemia, incluse mia madre e me. La rabbia contro questo verdetto disumano ha avuto la meglio sulla paura del contagio. Stiamo mettendo i nostri corpi a rischio. Tanto, considerando la nostra storia e le nostre battaglie, le donne in Polonia ci sono ormai abituate.