Pioveva in quella domenica di metà marzo 1977 e Niki Lauda, fresco vincitore al gran premio del Sudafrica, aspettava che il cielo schiarisse per calarsi nell’abitacolo della nuova Ferrari. Si trattava del prototipo 312-T6 a sei ruote (due anteriori e quattro gemellate sull’asse posteriore) che l’ex campione del mondo sperimentava sul moderno circuito circolare ad alta velocità costruito dalla Fiat. Durante la «due giorni», sabato e domenica, aveva girato alla media di 299 Km/h. In Formula 1 già gareggiavano le monoposto a sei ruote delle scuderie Tyrrel e March. Per presenziare ai test della vettura di casa Ferrari, ancora top secret, erano stati accreditati gli inviati dei giornali nazionali e qualche rappresentante della stampa locale (tra questi ultimi pure noi) di riferimento al territorio in cui era ubicata l’autopista. Del gruppo degli inviati spiccava Nestore Morosini del Corriere della Sera (diretto da quel Piero Ottone scomparso di recente), un omone dalle mani ampie come badili, che raccontava di aver abbandonato la nazionale di calcio pur di non perdersi le emozioni dei grand prix. Le domande spesso petulanti dei cronisti seccavano visibilmente il pilota austriaco che col responsabile del reparto corse di Maranello Mauro Forghieri si aggirava intorno al prototipo: era il prezzo della notorietà che il Niki muso di topo (così soprannominato per gli incisivi sporgenti) doveva pagare. Fotografarlo era un’impresa, nonostante gli obiettivi fossero tutti puntati su di lui: si lasciava riprendere soltanto con il casco integrale che indossava disinvoltamente mentre i meccanici mettevano a punto, fra un giro di pista e l’altro, le soluzioni aerodinamiche della macchina. Da fotografi occasionali (nei piccoli giornali era lo stesso cronista a fungere da fotografo) cercammo di trarre profitto da un’insolita circostanza: al rientro ai box sorprese per la rapidità con cui abbandonato l’abitacolo si era sfilato finalmente il casco; quindi attraversò la carreggiata e scavalcato il guard-rail fece qualche passo sul terrapieno per compiere un breve atto fisiologico. In due l’avevamo seguito, sebbene fosse vietato invadere la pista, e mentre tornava a testa bassa, acquattati fra le lamiere del guard-rail lo chiamammo: «Niki, Niki». Alzò il capo cicatrizzato e rapidi facemmo un paio di scatti. Ma per il sole che mancava e per la mano poco ferma uscì un primo piano sfocato che il giornale neppure pubblicò. Dopo il rogo sul circuito del Nurburgring dell’anno prima che gli aveva sfigurato il volto, e il mondiale soffiatogli da James Hunt, Lauda cercava una rivincita: l’ottenne in quello stesso anno conquistando il secondo titolo iridato. E senza la macchina a sei ruote, che anzi non gareggiò mai.