La passeggiata di Los Proceres, ieri, traboccava di rosso: per ricordare Hugo Chavez, a 12 mesi dalla scomparsa. Nei suoi 15 anni di governo, Chavez l’ha percorsa spesso, accompagnato da una folla moltitudinaria che gli ha rinnovato la fiducia per 17 consultazioni popolari: 16 delle quali vinte e una persa per un soffio. La prima volta era il 2 febbraio del ’99, dopo l’assunzione d’incarico per aver vinto le presidenziali, il 6 dicembre del ‘98. L’ultima, l’anno scorso, il 6 marzo. Allora, un mare di camicie rosse accompagnò il feretro per 8,5 km: dall’ospedale militare, dove Chavez era morto il giorno prima, all’Accademia militare di Fuerte Tiuna. Poi, il governo dovette prolungare la veglia per altri 7 giorni, a causa dell’impressionante numero di persone venute a dargli l’ultimo saluto. Al funerale presenziarono 31 capi di stato e di governo e personalità religiose, del mondo della cultura e dello sport. A un anno di distanza, molti sono tornati per la prima cerimonia di commemorazione, che proseguirà per 10 giorni
«Viva la Palestina», ha esclamato Maduro salutando il ministro degli Esteri palestinese presente alla giornata: «Siamo combattenti socialisti, rivoluzionari, antimperialisti e soprattutto chavisti – ha detto il generale incaricato del discorso – nell’esempio e nell’amore di quel Gesù cristo che è stato il primo socialista della storia». A quel punto, si è fatta avanti una giovane, chiedendo la parola: «Presidente – ha detto – chiedo di consegnarle uno stendardo: la bandiera di genere, di classe, della patria socialista e femminista e chiedo che sia presente in ogni sfilata civico-militare». Un’irruzione di contenuti dal basso in cui Maduro è parso sorpreso. Poi ha chiesto il nome della ragazza e si è rivolto al popolo delle comuni e ai collettivi perché rimangano «fermi nella difesa della propria comunità» contro l’aggressione delle destre. La ministra della Difesa, Carmen Menendez, si è fatta avanti per chiedere lo stendardo, che ha consegnato agli ufficiali di grado inferiore: lo stendardo ha sfilato in cima alla fila di carri armati, dove campeggiava anche «il cane di Chavez» con tanto di fazzoletto rosso: un vagabondo che l’anno scorso seguì il feretro del Comandante per tutto il percorso, suscitando la commozione generale.
La cerimonia è proseguita nel pomeriggio al Cuartel de la montaña, dove riposa la salma, e si è conclusa con la proiezione del film di Oliver Stone, «Mi amigo Hugo». Tre atti simbolici che indicano le componenti della «rivoluzione bolivariana»: l’unità tra il popolo e le forze armate progressiste convinte dal socialismo; la democrazia partecipativa degli abitanti dei barrios organizzati nelle comuni e nei collettivi e una nuova visione internazionale, basata sulla sovranità di rapporti non asimmetrici e sulla consapevolezza di un mondo multipolare. Assi che Maduro e il suo governo promettono di approfondire: nonostante le domande aperte dalla morte di Chavez e l’attacco delle destre e dei poteri forti, decisi a liberarsi dell’ex autista del metro e del socialismo.
Un attacco che, per le componenti più radicali del chavismo sta portando a un compromesso inaccettabile che richiederà il ridimensionamento di alcuni attori storici della politica economica governativa, in favore di altri più malleabili. La Conferenza di pace, lanciata da Maduro, è letta come un cedimento alla grande imprenditoria privata capitanata da Lorenzo Mendoza, proprietario della Polar, e alle sue richieste neoliberiste: e come una concessione alle mire di potere del rappresentante elettorale della Mud, Henrique Capriles (attraverso la mediazione del governatore dello stato Lara, Henri Falcon). In questa interpretazione, si profilerebbe un conflitto con la base operaia, i collettivi di autodifesa e le comuni, oggetto di una feroce campagna di criminalizzazione della destra. La discussione politica è sempre stata accesa nel chavismo. Ma questa volta il congresso del Psuv, previsto per luglio, dovrà chiarire in che termini, strategici e tattici, deciderà di proseguire il «socialismo democratico», che punta a un cambiamento dall’interno del capitalismo, basato sul consenso. In molti, ieri, hanno letto come un ritorno indietro il cambio di accento proposto da Maduro con la revisione dello slogan «Chavez vive, la lotta continua» in «Chavez vive, la patria continua». Tutto il fronte chavista fa però blocco contro il «colpo di stato strisciante» delle destre con una doppia tattica: manifestazioni di piazza con tecniche di insurrezione violenta, mascherate da una poderosa propaganda mediatica, e apparente accettazione del dialogo. Ieri, la guerriglia dei quartieri agiati ha provocato altre due vittime: un mototaxista si è schiantato contro le barricate delle «guarimbas». Un chavista è caduto sotto i colpi degli oltranzisti nel Tachira. Nell’est della capitale, le «guarimbas» hanno attaccato la Guardia nacional per tutta la notte. La lettera di un’abitante di opposizione, Mariana Mata Liendo, distribuita a Los Ruices, esprime la stanchezza dell’opposizione più morbida, che ha invitato a non manifestare ieri per consentire il ricordo di Chavez. Giornalisti e fotografi internazionali sono stati pestati e cacciati, ma la grancassa mediatica ha comunque messo il silenziatore. Dagli Usa, arriva anzi la dichiarazione quasi unanime della Camera dei rappresentanti, in cui si «deplora l’inaccettabile violenza perpetrata contro leader dell’opposizione e manifestanti in Venezuela». Anche la destra cilena ha sollecitato in parlamento un pronunciamento analogo. La presidente del Brasile, Dilma Rousseff sta lavorando per indire una riunione urgente di Unasur in Cile, quando Michelle Bachelet assumerà l’incarico, l’11 marzo. Una riunione sollecitata da Maduro. E il presidente del Salvador, Mauricio Funes, ha espresso solidarietà al popolo del Venezuela e ha chiesto al partito di destra Arena – che prova a riprendersi il potere sul Fronte di liberazione Farabundo Marti il 9 marzo – di lasciare in pace il paese bolivariano. Ieri, i movimenti sociali e le sinistre d’alternativa hanno animato, anche in Italia, la campagna internazionale «Por aqui paso Chavez».