Per quanto ora Pechino predichi trasparenza nelle indagini e un pronto intervento, la tragedia nel porto di Tianjin si configura come un caso da manuale per la seconda potenza mondiale. Un’esplosione, cui ne sono seguite altre, dovute probabilmente a incuria, scarsa sicurezza, mazzette o favori. E ancora: immediata stretta sui media (moltiplicati gli interventi della censura) e una mancanza di comunicazione chiara e immediata.

Tanto che tra le 114 vittime per ora accertate, ma secondo i media nazionali il bilancio sembra destinato a crescere, ci sono per lo più pompieri, giunti per spegnere il primo incendio. Ma non sapendo di preciso che tipo di intervento stessero per fare, l’acqua sparata sul fuoco ha finito per dare il via a nuove esplosioni. Secondo il vice sindaco di Tianjin, nel deposito esploso ci sarebbe stati almeno 18mila container, di cui 1.800 contenenti materiali pericolosi. 700 tonnellate di cianuro di sodio sarebbero state trovate intatte (e si tratterebbe di uno stoccaggio molto al di là dei limiti che dovrebbero essere consentiti).

L’esercito starebbe provvedendo a rimuoverle dal sito. Secondo altre fonti, invece, nel deposito vi erano anche carburo di calcio, che a contatto con l’acqua produce acetilene, un gas altamente infiammabile, oltre a nitrato di potassio e nitrato di ammonio. 6 mila persone sono state evacuate, l’area appare come una sorta di sito postbellico, con un cratere la cui foto ha fatto il giro del mondo.

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Secondo Caijing, uno dei principali magazine economici del paese, la società Ruihai International Logistics, che avrebbe avuto il compito di stoccare i materiali nocivi, avrebbe tra i propri soci il figlio di Dong Peijun, capo degli apparati di sicurezza del porto di Tianjin, recentemente scomparso. Le indagini del magazine avrebbero portato a scoprire che il figlio dell’ex funzionario non comparirebbe nello statuto societario, ma avrebbe utilizzato un prestanome, che chiamato in causa dai giornalisti, non avrebbe rivelato il nome del socio vero. Un dirigente della società identificato col nome di Wang ha dichiarato che l’Hebei Chengxin aveva consegnato il cianuro al magazzino, di proprietà della Ruihai International Logistics, e che la Ruihai aveva il compito di esportarlo.

Ruihai era una delle poche aziende autorizzate a gestire una vasta gamma di materiali pericolosi, tra cui il cianuro di sodio.

Un altro mistero, che va ad accumularsi a quelli registrati nel corso dei giorni trascorsi dopo le prime esplosioni. Se fosse vera questa voce, è chiaro che le autorità avrebbero chiuso un occhio a fronte di materiale pericoloso, stipato oltre i limiti consentiti, così come analoga incuria sarebbe avvenuta per quanto riguarda altre procedure di sicurezza, come ad esempio le abitazioni situate a distanza ravvicinata dai depositi.

Quando si parla di corruzione in Cina, non per forza ci si riferisce alle mazzette. Basta chiudere un occhio. Nonostante la censura sui social media, in Cina alcune riviste e siti internet fanno un ottimo lavoro di inchiesta. Secondo alcune ricostruzioni, i pompieri accorsi per l’incendio a Tianjin hanno innaffiato un container ignorando che conteneva sostanze chimiche infiammabili al contatto con l’acqua. Le testimonianze dei pompieri sono state riprese dal Beijing Youth Daily, che cita un rapporto del coraggioso quotidiano investigativo Southern Weekend, apparso giovedì e immediatamente rimosso dal web.

«Abbiamo spruzzato acqua su un container e dopo circa 10 minuti, abbiamo sentito dei botti e il container ha preso fuoco», ha raccontato un pompiere, aggiungendo che nessuno della sua squadra sapeva della presenza di sostanze chimiche pericolose. Analogamente la popolazione cinese non resta in silenzio a guardare e subire eventuali ingiustizie. Tianjin è stato un evento che ha fatto il giro del mondo, ma si tratta dell’ennesimo disastro in un sito industriale cinese.

E così come molte persone di Tianjin sono scese per strada per protestare contro il governo (per la scarsa comunicazione, per la richiesta di indennizzi e assicurazioni), ogni anno in Cina sono almeno 180 mila i cosiddetti «incidenti di massa», ovvero proteste e scontri tra cittadini e forze di polizia. Ultimamente le proteste per questioni ambientaliste, hanno superato quelle relative a conflitti lavorativi, registrando anche alcuni successi. Il premier Li Keqiang è giunto sul posto celebrando come eroi i pompieri morti e promettendo indagini trasparenti. In pochi ci crederanno.