Lo sanno tutti: le classi dirigenti europee vogliono a ogni costo evitare che Madrid segua le orme di Atene. La vittoria di Syriza dello scorso gennaio deve rimanere un caso isolato: alle elezioni spagnole del prossimo autunno deve essere scongiurato con ogni mezzo il successo di Podemos.

È una delle ragioni fondamentali che spiegano l’andamento della «trattativa» fra la ex trojka e il governo Tsipras: mettere in chiaro che all’austerità non c’è alternativa. È il messaggio che in Spagna viene diffuso dall’esecutivo guidato dal premier Mariano Rajoy: «Abbiamo fatto “i compiti a casa” e ora possiamo stare tranquilli» afferma ieri il ministro delle finanze Cristobal Montoro.
I compiti a casa sarebbero ovviamente le «riforme» che hanno impoverito il Paese e depresso ancora di più l’economia (la disoccupazione è al 23%, il rapporto debito/pil al 100%). Ma la narrazione ufficiale è un’altra: la cura somministrata dai conservatori del Partido popular (Pp) sotto dettatura di Berlino, Francoforte e Bruxelles ha portato ottimi risultati. Come a Roma, anche a Madrid suona lo stesso refrain: «Un’eventuale uscita della Grecia dall’euro non avrà effetti negativi per noi. Siamo al sicuro».

Non la pensano così i socialisti del Psoe, che accusano Rajoy di immobilismo in Europa: «Il governo dovrebbe aiutare a trovare una soluzione alla crisi e invece fa solo campagna elettorale», ha attaccato Jordi Sevilla, «ministro dell’economia» nel governo-ombra del leader socialista Pedro Sánchez. Il Psoe, tuttavia, non solidarizza con Atene, accusata di «alterare le regole del gioco»: «Il referendum – ha affermato Sevilla – è una scelta irresponsabile». Toni tutto sommato morbidi se confrontati con quelli del quotidiano social-liberale El País, da sempre filo-Psoe, che nell’editoriale (non firmato, quindi della direzione) apparso ieri si è schierato «senza se e senza ma» contro il governo greco.

Non deve stupire: in chiave interna, l’influente giornale madrileno fa apertamente il tifo per una Grosse Koalition iberica che tenga Podemos ben lontano dalla stanza dei bottoni. Per fortuna, lo stesso El País in questi giorni è «costretto» a ospitare voci di storici collaboratori «fuori-linea»: gli economisti (premi Nobel) Paul Krugman e Joseph Stiglitz, ma anche il veterano Iñaki Gabilondo, icona del giornalismo progressista spagnolo e non certo sospettabile di tendenze «estremiste».

Dalla parte del governo greco sono Podemos (che l’ultimo sondaggio dà alla pari con il Psoe al 23%, 3 punti al di sotto del Pp), Izquierda unida (Iu) e i movimenti regionalisti o nazionalisti di sinistra, come Compromís nella Comunidad di Valencia, Iniciativa per Catalunya e gli indipendentisti baschi. Per il partito di Pablo Iglesias «in Europa ci sono due fronti contrapposti: l’austerità o la democrazia, il governo del popolo o il governo dei mercati e dei poteri non eletti. Noi stiamo con la democrazia». E di «alternativa fra democrazia e dittatura» parla l’eurodeputata di Iu Marina Albiol a Bruxelles insieme al vicepresidente dell’Europarlamento Dimitrios Papadimoulis (Syriza). In tutta la Spagna molte iniziative in solidarietà con il popolo greco, che si intrecciano a quelle contro la vergognosa «ley mordaza», la «legge anti-proteste» voluta dal governo Rajoy, ufficialmente in vigore da oggi.