In piazza per Edward Snowden. A San Paolo, un gruppo di manifestanti ha fatto sentire la propria voce in favore dell’ex tecnico informatico della National Security Agency (Nsa), attualmente rifugiato in Russia. Snowden, che ha rivelato il grande scandalo delle intercettazioni illegali messo in atto dall’Agenzia per la sicurezza Usa, qualche giorno fa ha indirizzato una lettera aperta al popolo brasiliano dalle pagine del giornale Folha de S.Paulo: «Molti senatori brasiliani mi hanno chiesto di collaborare all’inchiesta su presunti reati contro i cittadini brasiliani. Ho espresso la mia volontà di aiutare quando ciò risulti appropriato e legale», ha scritto l’ex consulente Cia, denunciando le manovre del governo degli Stati uniti per limitare i suoi spostamenti in America latina: al punto – ha ricordato – da bloccare l’aereo del presidente boliviano Evo Morales per il sospetto che avesse deciso di farlo espatriare. Un episodio accaduto ai primi di luglio, quando la Talpa del Datagate si trovava ancora al transito dell’aeroporto moscovita di Sheremetievo.
Allora, le forti pressioni degli Usa avevano indotto alcuni paesi europei (Francia, Italia, Spagna e Portogallo) a negare il sorvolo del proprio spazio aereo a Morales che tornava da un vertice con Putin, obbligandolo ad atterrare a Vienna e a subire intimidazioni oltre ogni protocollo. Lo spionaggio – ha affermato Snowden – viene motivato con la «guerra al terrorismo», ma le vere ragioni sono di natura economica e politica, e per questo i cittadini hanno deciso di farsi sentire: in difesa della privacy e della democrazia.
In uno scenario simile – ha concluso Snowden – se un paese richiede la sua collaborazione, l’unico modo di garantirgli sicurezza è quello di concedergli «asilo politico permanente». Un suggerimento indiretto, non una richiesta esplicita: per non urtare Putin, che gli ha dato asilo temporaneo per un anno, e per non mettere in imbarazzo Rousseff, il cui governo non gli aveva aperto le porte in estate, a differenza di quanto avevano fatto Venezuela, Ecuador, Bolivia e Nicaragua.
Da allora, però, le rivelazioni di Snowden sulle ingerenze della Nsa negli affari interni del Brasile e anche in quelli privati della sua presidente, hanno lasciato qualche segno. Rousseff ha annullato la storica visita programmata negli Usa, e si è fatta sentire all’Onu. La proposta congiunta Merkel-Rousseff per mettere fine agli eccessi della sorveglianza digitale ha portato all’approvazione di una risoluzione, che – per quanto non vincolante e ammorbidita rispetto al testo iniziale, per non incorrere nel veto di Usa e Gran Bretagna – ha ottenuto il consenso di 193 paesi.
Il Brasile ha espresso soddisfazione per la decisione Onu, e ha ribadito l’intenzione di organizzare, a marzo, un grande incontro internazionale sul tema della sicurezza digitale, a cui ha invitato politici, imprenditori e reti sociali. E certo il Datagate deve aver pesato nei nuovi accordi commerciali sugli armamenti conclusi dal Brasile con la Svezia. Dagli ambienti più vicini alla presidenza, non sono però arrivati finora segnali incoraggianti per l’asilo a Snowden. E così, indossando la sua maschera, gli attivisti hanno manifestato durante una celebrazione natalizia a cui ha partecipato la presidente e nove ministri: «Dilma, dai il benvenuto a Snowden», dicevano i cartelli. La protesta è stata organizzata da Avaaz.org per impulso del giornalista Glenn Greenwald, che vive in Brasile e che per primo ha pubblicato le rivelazioni di Snowden e del suo compagno Miranda. E oggi, altre pubblicazioni hanno chiamato in causa la responsabilità di nove paesi europei, complici dello spionaggio Nsa.