L’offensiva contro Gaza, la repressione nei Territori, le politiche serviliste dell’Anp. E una rabbia sommessa che monta: è il contesto in cui si muove il popolo palestinese, non ancora pronto ad una nuova Intifada ma vicino all’esplosione. Ne parliamo con l’analista e scrittore palestinese, Nassar Ibrahim.

Dopo il ritrovamento dei tre coloni, Netanyahu si è mosso con i piedi di piombo per poi lanciare un attacco durissimo contro Gaza. Qual è l’obiettivo?Per comprenderlo dobbiamo analizzare il contesto. Non si tratta di un’azione inattesa o separata dal resto.

È figlia del fallimento di tre parti: Israele e i suoi alleati che perseguono nel cercare la «pace» lasciando fuori i diritti palestinesi; l’Autorità Palestinese che porta avanti da anni politiche economiche e sociali che hanno sfibrato la popolazione; Hamas che continua a perdere consenso perché non guarda più agli interessi del popolo sotto assedio, ma ai giochi regionali.

La stessa riconciliazione tra Hamas e Fatah è nata dalla crisi di entrambe le fazioni, senza una strategia di lungo termine: Hamas ne aveva bisogno dopo il crollo della Fratellanza nella regione e dopo aver abbandonato il vecchio alleato siriano; per l’Anp era il modo per sfuggire alla pressione israeliana nell’ambito del cosiddetto negoziato e alle richieste inaccettabili di Usa e Ue. Da parte sua, Israele non intendeva proseguire nel dialogo, ma dettare la pace secondo le sue condizioni: assedio di Gaza, espansione coloniale, controllo della Valle del Giordano e di Gerusalemme.

In tale contesto di debolezza di tutti gli attori, il caso dei tre coloni è normale parte del confronto storico tra palestinesi e israeliani, ma Netanyahu lo ha utilizzato per cambiare le regole del gioco. Subito ha accusato Hamas e si è mosso ovunque, in tutta la Palestina storica. Il target era imporre le proprie condizioni. Ha però optato per tale dinamica senza tenere in considerazione il cambiamento della società palestinese negli anni, delle reazioni di una popolazione frustrata da Israele, dai partiti politici palestinesi, dalla coordinazione alla sicurezza, dalla crisi economica.

L’attacco a Gaza è il prodotto dell’incapacità del governo israeliano di restare unito di fronte a tale sfida, era la più semplice delle soluzioni per mettere fine all’accordo Hamas-Fatah e gettare in pasto dell’opinione pubblica qualcosa che la distraesse dagli errori dell’esecutivo.

Le immagini provenienti da Gerusalemme la scorsa settimana ricordavano la Seconda Intifada. è possibile una nuova insurrezione?

Le circostanze oggettive in cui vive la popolazione palestinese sono quelle necessarie ad una nuova Intifada. La selvaggia uccisione di Mohammed poteva essere la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. La fiamma che avrebbe potuto incendiare tutto. I tre circoli si sono, per poco, riconnessi: i Territori, la Palestina ’48 e Gerusalemme.

Le politiche israeliane e la frustrazione per le politiche dell’Anp sono le circostanze ottimali per una riunificazione del popolo palestinese, le cui aspirazioni sono in contraddizioni con le scelte della leadership.
A livello soggettivo, individuale, il popolo non è ancora pronto. Le condizioni valide in astratto non sono ancora mature. Manca un elemento: leader riconosciuti che sappiano guidare il popolo con una strategia di lungo termine.

L’Anp ha due scelte: continuare nella repressione e nel sostegno all’occupazione o, se non vuole diventare target della prossima Intifada, servire il popolo palestinese.

Hamas può uscire rafforzata dal confronto con Israele? E la riconciliazione con Fatah può proseguire?

Hamas può riottenere la fiducia persa negli ultimi anni e allo stesso tempo l’unità potrebbe uscirne rafforzata perché Fatah teme il crollo del consenso a favore del movimento islamista. L’ostacolo è però ancora una volta il sostegno internazionale e il timore di Ramallah – che considera la Palestina il proprio business personale – di perdere i fondamentali aiuti esterni.