I voucher destinati al pagamento orario delle prestazioni occasionali non servono a fare emergere il lavoro nero. Secondo la lista che l’Inps ha fornito alla Cgil sono usati da McDonald’s, Adecco, Manpower o dalla Juventus e da comuni come Benevento a Padova, Torino o Napoli. I destinatari sono molto spesso coloro che non sono mai entrati nell’«Olimpo» dei contratti stabili.

I buoni lavoro dal valore di 10 euro (7,5 vanno al lavoratore al netto delle trattenute Inps e Inail) sono un «iceberg» e segnalano che il «nero» è in gran parte rimasto sott’acqua. Il lavoro a scontrino va inteso come una prestazione associata molto spesso ai lavori part-time. La maggioranza del milione e 380 mila percettori dei buoni lavoro nel 2015 operava in nero e, solo in parte, viene pagata con i voucher. I lavoratori maschi tra i 30 e i 50 anni che sono effettivamente emersi dal nero rappresentano una componente irrisoria e, tra l’altro, hanno un costo aziendale medio annuo tra i 6-700 euro ciascuno.

Sono i risultati della prima analisi commissionata dall’Inps e realizzata dai ricercatori Bruno Anastasia, Saverio Bombelli e Stefania Maschio nel settembre 2016. Questo prezioso strumento permette oggi di fare ordine nel dibattito, spesso confuso e ideologico, che sta accompagnando il referendum indetto dalla Cgil.

In otto anni, quando il governo Berlusconi iniziò la dilatazione di questo strumento per il lavoro occasionale in ambiti molto diversi da quelli originariamente concepiti dalla legge Biagi del 2003, l’incremento è stato del 25 mila per cento. Nel 2016 è stato battuto ogni record precedente raggiunto dal cosiddetto «lavoro a scontrino»: oltre 134 milioni di voucher venduti nel 2016, in aumento del 24,1% sul 2015. Questo «boom» si spiega anche con la tendenza a sostituire il contratto di lavoro, anche quello più precario, con una forma di lavoro «mordi e fuggi» di cui i voucher sono solo la prima parte emersa.

Sono quattro le identità che compongono il popolo dei voucher: occupati part-time (45%), lavoratori full-time a tempo determinato o stagionali (meno del 30%); lavoratori con impiego standard (poco più del 20%); prestatori che hanno percepito solo un ammortizzatore sociale.

Con il passare degli anni l’età media dei voucheristi è andata decrescendo. Se prima erano i pensionati ad usarli di più, oggi sono gli under 35 in cima alla classifica. Secondo l’osservatorio sul precariato dell’Inps sono le donne ad usare in maggioranza i voucher: oltre il 50%. I cittadini extracomunitari nel 2015 erano l’8,6%.

Il popolo dei voucher è ovunque, specialmente a Nord dove sono venduti due buoni su tre. I voucheristi sono nel commercio, nel turismo, nella ristorazione, nel porta a porta. Emergono con prepotenza anche nel settore dei maneggi e delle scuderie.Questo per dare un’idea della diffusione molecolare del nuovo lavoro occasionale. È la «nuova frontiera del precariato» ha detto il presidente dell’Inps Tito Boeri. Nell’85% dei primi casi analizzati dall’Inps, un milione di persone, si parla di guadagni pari o inferiori a 500 euro netti all’anno. Nel 2015, ad esempio, solo 207 mila «voucheristi» avevano guadagnato più di mille euro netti.

Ipotizzando un reddito annuale lordo di 9.333 euro – la soglia massima, pari a 7 mila euro netti – l’Inca-Cgil ha sostenuto l’assegno pensionistico dei voucheristi sarà in media di 208 euro mensili, meno della metà dell’attuale pensione sociale (circa 500 euro). Se qualcuno lavorasse per tutta la vita con i voucher percepirebbe un assegno inferiore alla metà di una partita Iva (402,52 euro) o di un collaboratore (526,15 euro).