La Commissione etiope per i diritti umani (Ehrc) ha pubblicato un report sulle violenze esplose nella regione dell’Oromia in Etiopia tra il 29 giugno e il 2 luglio 2020 a seguito dell’uccisione del cantante Hachalu Hundessa. Complessivamente risultano essere state uccise 123 persone e oltre 500 sono rimaste ferite. Nello specifico, tuttavia, 35 persone risultano essere state uccise e 306 ferite dai manifestanti, 76 uccise e 190 ferite dalle forze dell’ordine. Oltre 900 edifici e proprietà sono state incediate e 6400 persone hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Nelle 40 località in cui è stata condotta l’indagine ha documentato che si muovevano «gruppi organizzati per uccidere, ferire e distruggere proprietà: un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile». Non «semplici violenze», secondo la Commissione, ma crimini contro l’umanità. Le vittime sarebbero state selezionate sulla base dell’appartenenza etnica (in questo caso Amhara).

La Commissione dice che in diverse località le autorità locali non hanno risposto alle ripetute richieste di aiuto delle vittime. Secondo le testimonianze raccolte, in alcuni casi la polizia sarebbe rimasta a guardare: «Non sembrava che avessimo un governo» ha denunciato una vittima.

Nelle località di Guna Woreda, Negele City, Arsi Negele e Dodola le forze di sicurezza sarebbero entrare negli ospedali per impedire alle vittime di ottenere assistenza medica. In alcuni casi gli stessi medici, in particolare a Wolisso, si sarebero rifiutati di curare i feriti.
Il presidente della Commissione Daniel Bekele ha concluso che «è importante avviare una strategia nazionale per prevenire questo tipo di crimini, mirata ad affrontare le cause profonde del problema».

Per quanto riguarda il Tigray l’esercito etiope ha annunciato la cattura di diversi capi militari del Tigray People’s Liberation Front (Tplf), tra cui spicca il colonnello Yemane Gebremichael, sospettato del massacro di Mai-Kadra. L’emittente del Tplf, Dimtsi Woyanen , riferisce di successi militari tigrini, tra cui un’imboscata tesa all’esercito etiope nella zona di Zongi, con l’uccisione di 124 soldati e 114 prigionieri.

Dal lato sudanese, dove vi erano stati scontri violenti sul confine tra i rispettivi eserciti che avevano portato alla morte di 4 militari, l’esercito di Karthoum ha annunciato di aver ripreso il controllo di oltre l’80% del territorio sudanese occupato dalle milizie etiopi, sottolineando che «il confronto delle settimane precedenti non sarebbe avvenuto con milizie, ma con militari etiopi».

 

Profughi tigrini rifugiati in Sudan (Ap)

 

Il generale Mohamed Ahmed Sabir, vice capo dell’autorità di intelligence, ha dichiarato che le forze del suo Paese non hanno intenzioni ostili nei confronti dell’Etiopia: «Ci stiamo muovendo con senso di responsabilità». Il ministro degli esteri etiope Demeke Mekonnen ha dichiarato che l’Etiopia proteggerà la sua sovranità. Sulla tensione lungo il confine Sudan/Etiopia pesa l’accusa, non dimostrata, nei confronti dell’Egitto, di lavorare attivamente per provocare uno scontro tra Khartoum e Addis Abeba. Il portavoce del ministero degli Esteri etiope Dina Mufti si è riferito ad un Paese terzo senza nominarlo che, a suo avviso, cercava instabilità nella regione contesa. Questo ha provocato la convocazione al Cairo dell’ambasciatore etiope per chiarimenti.

Tuttavia riprendono i negoziati tra Egitto, Etiopia e Sudan presso l’Unione africana sulla Grande diga della rinascita etiope e gli effetti sulla distribuzione delle acque del Nilo nei tre Paesi.

Le tensioni in Etiopia hanno anche un riflesso nel Sud Sudan perché l’Etiopia è a capo del meccanismo di monitoraggio e verifica del cessate il fuoco e dell’accordo di sicurezza transitorio nel Paese (Ctsamm) e la crisi interna starebbe minando la sua capacità di impegnarsi in Sud Sudan.