A prima vista il discorso che Paolo Gentiloni rivolge alle Camere in vista della riunione del Consiglio europeo di oggi e domani è puro repertorio. C’è la conferma che in Italia «le riforme non solo non si sono fermate ma non hanno minimamente rallentato il loro percorso». Rassicurazione richiesta dall’Europa in più occasioni, anche ufficialmente. Ci sono alcuni toni in stile Renzi adoperati probabilmente proprio a uso dello stesso Renzi: «Non siamo i primi della classe ma non accettiamo lezioni da nessuno». L’Italia rispetta le regole ma vuole contribuire, possibilmente guidandolo, a un processo di modifica delle sue politiche. E c’è il monito all’Europa che deve «avere un ruolo di accompagnamento e non di depressione nei confronti della crescita».

Ma le parole già più volte usate cadono stavolta in un contesto nuovo. L’Europa «è sotto attacco e sarebbe miopia non rendersene conto». La responsabilità della diffidenza generalizzata è anche delle istituzioni europee «spesso ferme e non capaci di adeguarsi a questa realtà». Il fatto nuovo è che la Ue ritiene di aver individuato una via per tirarsi almeno in parte fuori dal vicolo cieco. E’ quella Europa a due o più velocità che, lanciata in grande stile a Versailles, verrà ufficializzata con la dovuta solennità proprio a Roma, il 25 marzo, in quello che i vertici di Bruxelles e delle principali capitali europee vogliono che suoni come un «nuovo inizio».

La formula magica di turno fino a ieri era considerata una minaccia da molti e tra i Paesi più importanti soprattutto dall’Italia. Al Senato Gentiloni non si dilunga sulla faccenda, però alla Camera, qualche ora più tardi, la affronta di petto: «Non viviamo questa discussione come se fosse un gigantesco complotto nei confronti dell’Italia. E’ vero che in passato c’è stato un dibattito sull’Europa a due velocità in cui l’Italia poteva essere a rischio della serie B. Ma oggi l’Italia è tra i promotori di questa impostazione e in un’Unione che perderà l’Uk sarà tra i Paesi assolutamente protagonisti».

E’ la svolta certificata 24 ore prima dall’inusuale pioggia di complimenti fatta piovere dal ministro tedesco delle Finanze Schaueble sia sull’Italia che sul presidente della Bce Draghi, sino a ieri presi costantemente di mira. A fronte del pericolo mortale per l’Unione rappresentato da Trump a dai movimenti interni euroscettici, i vertici di Bruxelles e Berlino si riallineano, cercano di dimenticare lo scontro che sino a ieri li ha visti contrapposti, in Italia puntano senza esitazioni su Gentiloni, non solo fino a elezioni non più dietro l’angolo ma anche per il dopo-voto, quando non ci saranno vincitori e forse neppure maggioranze possibili.

La vittima sacrificale di questa svolta, che almeno per il momento dovrebbe garantire al governo Gentiloni un occhio di riguardo nella Ue e all’Italia il suo posto in serie A nella «nuova» Europa, è Matteo Renzi. I complimenti di Schaeuble alle riforme «avviate da Renzi e ora portate avanti da Gentiloni» hanno tutto il sapore del benservito. Il premier, un po’ per diplomazia, un po’ per carattere, farà certamente il possibile per camminare, almeno nelle apparenze, nel solco del suo predecessore. Proprio ieri l’Agenzia delle Entrate, applicando la norma contenuta nella legge di stabilità, ha reso operativa una delle misure più discutibili varate dal governo Renzi, quella Flat-Tax che permetterà ai ricchi di regolare i conti con il fisco italiano, ove accettino di trasferire nel nuovo paradiso la residenza fiscale, con una mancetta di 100mila euro, più 25mila a testa se vorranno estendere il beneficio ai familiari. Una «imposta sostitutiva» sui redditi esteri che dovrebbe invogliare i manager straricchi messi in difficoltà dalla Brexit a scegliere l’Italia come nuova dimora. Una trovata che farà felici gli italiani a reddito basso massacrati dal fisco.

Ma per quanto il conte ce la metta tutta, alla fine non potrà evitare di passare a misure aborrite dal fiorentino ma invocate da Bruxelles. E Renzi dovrà decidere se appoggiare obtorto collo un governo che fa il contrario di quel che voleva fare lui o se far crollare tutto col rischio, anzi con la quasi certezza, di finire per primo sotto i detriti.