Due spazi, due mostre, due progetti espressivi abbastanza distanti

ma che hanno in comune la “marginalità” nel circuito artistico napoletano

rispetto ai cosiddetti eventi comprensibilmente sponsorizzati e pompati

mediaticamente come “I greci a Pompei” e “Picasso a Capodimonte”. Due forme sofisticate di arte contemporanea che rivendicano un’attenzione mediatica fisiologicamente concentrata su quella classica di Pompei e quella moderna di Capodimonte.

Lo spazio esistenziale. Definizione #1 e Primo Mercato sono due interessanti

progetti che hanno una connotazione forte dal punto di vista del rapporto tra contenitore e contenuto, del peso coespressivo che fa sentire la sintonia tra

il luogo dell’allestimento e le opere esposte, del contesto socioculturale. Uno

è collocato in un vecchio palazzo fatiscente al Corso Vittorio Emanuele, la strada

più lunga di Napoli con i suoi edifici antichi e nobiliari, le sue curve e i suoi panorami ed è prodotto e organizzato dalla Fondazione Morra. L’altro – curato dal critico Marcello Francolini – si svolge nello spazio NEA, la galleria di Luigi Solito, di Piazza Bellini nel cuore della movida modaiola del centro storico, diventato punto d’incontro di giovani che vogliono conciliare il piacere di un drink con l’attività culturale (mostre, presentazioni di libri, dibattiti). Un appartamento

abbandonato e da ristrutturare (una delle caratteristiche vincenti dell’attività

di Peppe Morra è proprio il recupero di spazi abbandonati per destinarli ad

operazioni artistiche) ospita la prima mostra del ciclo Lo spazio esistenziale. Definizioni curato da Lucrezia Longobardi. “Il progetto – dice la curatrice – rappresenta il primo approccio per la stesura di un programma più vasto, volto a indagare aspetti del rapporto tra l’uomo e lo spazio. In questo primo movimento il dispositivo è legato alle forme semplici, le composizioni che abbiamo imparato a riconoscere per poterci misurare con l’esistere. Quello che si andrà a delineare nella totalità dell’apparato sarà la necessaria importanza dello spazio come mezzo esistenziale, sentimentale, politico ed esperenziale nella comprensione del reale. E in questa mostra l’interno abitativo viene trasformato in un’opera unica, la visione globale annulla la singolarità dell’opera per rafforzarne il valore concettuale del pensiero che la connota”.

Una riflessione articolata in quelli che possono essere i differenti approcci emozionali al luogo, produce un percorso dove s’incrociano il lavoro di Gregor Schneider con un materasso abbandonato

sul pavimento, consumato da una macchia che ne suggerisce il precedente utilizzo e

il prossimo impiego, mimeticamente scomposta all’interno di una libreria

l’opera di Renata Lucas, una vecchia televisione che trasmette in loop il film La Famiglia di Ettore Scola, che narra il procedere delle generazioni dalla prospettiva domestica,

quotidiana, l’interazione sonora prodotta dall’opera di Luca Patella con muri parlanti, dove una voce narrante sussurra poesie dalle interiora della casa, lo spazio utilizzato da Francesca Woodman durante i suoi studi di sparizione, che sperimenta quella regione parallela della coscienza dove l’immagine del corpo smette di essere ritratto, divenendo “rifratto” e infine il lavoro di Tosatti in una visione estrema e familiare per cui la casa viene traslata in un oggetto (un vecchio mobile) dall’entità propria, sottraendosi alla funzione e diventando monito dell’esistenza stessa dello spazio e del suo consumarsi, a passo d’uomo.

Il progetto Primo Mercato a cura di Marcello Francolini, invece, è una rassegna che ospita, da maggio a dicembre 2017, cinque nomi emergenti della scena artistica contemporanea, giovani artisti su cui si sta concentrando l’attenzione del mercato (Dario Agrimi, Giuseppe Biguzzi, Elio Varuna Roberto Marchese, g.olmo stuppia). Il curatore spiega l’essenza del progetto: “La titolazione Primo Mercato svela una doppia prospettiva d’indagine: non solo si riferisce all’artista contemporaneo che si relaziona al mercato dell’arte attraverso la vendita delle sue opere in galleria, ma contemporaneamente contribuisce a riflettere e a indagare il rapporto odierno fra il modo dell’arte e il “valore economico” invitando gli artisti a confrontarsi sulla possibilità che la prima, l’arte, diventi fonte di sapere sulla seconda, ovvero, sull’economia di mercato. In questo sguardo ambivalente Primo Mercato non fa altro che prendere atto dell’attuale economia postmoderna che basa la propria crescita sui processi culturali, qualitativi e creativi, sull’attenzione e sull’ispirazione, sull’immagine e sull’identità. La ricchezza non è più rivestita di capitale fisico, ma piuttosto di immaginazione e di creatività”.

A rendere subito tangibile questa sofisticata premessa teorica la personale di Dario Agrimi dal titolo tremilionidilire (si è conclusa il 13 giugno). La serie inedita di 30 opere è costituita da 30 banconote da centomila lire per la somma complessiva di tre milioni di lire: banconote che l’artista acquisì durante la crisi finanziaria del 2009 e con le quali, seguendo la deriva monetaria di quegli anni, intravide e anticipò la possibilità di un disgregamento del mercato economico europeo. S’indaga così il valore economico perduto attraverso due filoni di ricerca. Il primo agisce in superficie, isola di volta in volta i diversi elementi che affollano sulla bidimensionalità della banconota (le opere Orizzonte, Ex, Profilo, Finestra, Mezzo (10), Lutto, Rottame, Novanta, Periferia, Molto e Falsi) che permettono all’osservatore di compiere una visita lungo tutto il perimetro della moneta prima dell’euro. Il secondo filone, invece, si focalizza sulla simbologia connaturata al denaro della vecchia economia, ritagliando uno spazio di riflessione storica sulla lira in riferimento ai fatti e agli umori del nostro Paese (le opere Idea, Globo, Sangue, Soffocare, Autografo, La Deriva, Fede, La Sinistra, La Destra e Patria).

Il 30 giugno si è inaugurata la seconda mostra del progetto millenovecentoventinove di Giuseppe Biguzzi (fino al 30 luglio). “Trascrivere in lettere una cifra, in questo caso relativa a un anno, serve a voler enfatizzare un determinato momento storico. – spiega l’artista ravennate – É un espediente attraverso il quale il numero prende la forma di una determinata data, una forma che trova senso in rapporto ad un accadimento passato, in particolare alla “Grande Depressione”. Ma in queste opere non v’è traccia della numerologia finanziaria che ci si potrebbe aspettare dopo l’iniziale disamina sul senso del titolo della mostra. C’è invece il corpo, o meglio i corpi che vivono nello spazio delle tele. Corpi che s’isolano da tutto il resto, o forse che sono il resto di ciò che era il corpo. Sono corpi di ragazze quelli che dipingo, abbandonati e trascinati dallo scorrere veloce dell’odierna società liquida. Corpi che si mostrano allo spettatore, intrisi di lividi colori. Corpi che esulano il desiderio per incarnare ed esprimere il dramma esistenziale del quotidiano vivere”.