È morto Carlo Perfetti, un pioniere e un innovatore nel campo della riabilitazione neurocognitiva. Mi occupo di riabilitazione e, nella fattispecie, di riabilitazione neurocognitiva, dal 1984, anno in cui con Carlo ci mettemmo a discutere, di sistemi, di circuiti senso-motori, di apprendimento in condizioni patologiche (così egli definiva la riabilitazione neurocognitiva). Perfetti faceva allora riferimento alle teorie di Anochin ed io ero interessato alle teorie biologiche dell’auto-organizzazione e, in particolare all’idea di autopoiesi proposta dai neurobiologi Humberto Maturana e Francisco Varela. Erano gli anni in cui si discuteva del concetto di complessità, grazie alle iniziative che Mauro Ceruti e Gianluca Bocchi portavano avanti a Milano, coinvolgendo alcuni dei maggiori scienziati del mondo in ciò che essi avevano chiamato (così suonava il titolo del libro che raccolse i loro interventi fatti alla Casa della Cultura di Milano) La sfida della complessità. Tra questi, era venuto Francisco Varela, che io intervistai nella rivista Scienza Esperienza, che ritrovai poi a Parigi e con il quale feci amicizia. Perfetti colse subito l’importanza del concetto sistemico di autopoiesi per la riabilitazione neurocognitiva perché trovava corrispondenza nella sua idea di circuito senso-motorio che rompeva con il vecchio modello meccanicistico basato sostanzialmente su una visione anatomica e non fisiologica dell’apparato neurale e di quello muscolare.

Fu organizzato anche un convegno a Bergamo in cui discutemmo serratamente Perfetti, Varela, Ceruti, Puccini, Pieroni, io ed altri. Inoltre, nel campo della riabilitazione, la critica alla visione meccanicistica del corpo permise di inserire altri elementi teorici e pratici che sintetizzerò con un esempio che una volta fece Paola Puccini, la prima forse a praticare il metodo Perfetti. Quando un bambino neuroleso cerca di afferrare una mela davanti a me, quello che sta chiedendo non è forse soltanto il legittimo desiderio di prenderla, ma anche una richiesta di entrare in relazione con me. Questa osservazione di Puccini mi colpì molto. Capii che in un approccio terapeutico sistemico, la relazione è decisiva almeno quanto la cosa. Il problema non era più dunque di far fare al bambino un migliaio di esercizi al braccio per rafforzarlo, ma di comprendere il senso relazionale e simbolico dell’afferrare nel rapporto tra paziente e terapeuta. Passarono gli anni e il confronto teorico con Carlo ma anche con molte altre e altri riabilitatrici e riabilitatori a Schio, a Roma, a Pisa, a Massa e così via divenne continuo e, come si dice, in work in progress. Perfetti chiamava “laboratorio” la stessa palestra e in questo cambiamento di nome vi è tutta una visione del mondo della riabilitazione così come lui la concepiva. Considerava l’attività clinica mai disgiunta dalla ricerca. Il suo metodo ebbe (ed ha) un grande rilievo internazionale, dal Giappone all’Argentina.

Cominciammo a discutere di una cosa che mi era venuta in testa: i mondi intermedi, l’idea secondo cui nella nostra mente viviamo molti mondi di senso e di significato che comportano anche relazioni con altri e che nascono da altri mondi. Ipotizzai che attività come il gioco sono modi di apprendere la costruzione e l’attraversamento dei mondi. Perfetti, in un’intervista rilasciata a Luca Mori, parlò a lungo dei mondi intermedi, e alcune volte ne discutemmo pubblicamente. L’idea del rapporto terapista-paziente come costruzione di un mondo intermedio si è fatta strada nel campo della riabilitazione neurocognitiva (in modo diverso, certo, ma una scuola che non comporti diversità e conflitti, sarebbe una scuola di cloni) a cominciare dal Centro Studi di Villa Miari di Santorso, a nord di Schio e di Vicenza, che fu fondato da Carlo Perfetti e che costituisce una presenza importante, nazionale e internazionale, per la ricerca nel campo della riabilitazione neurocognitiva. Quando Vincenzo Saraceni mi invitò all’Università Cattolica di Roma al Convegno Nazionale della Riabilitazione a tenere la Lectio Magistralis alla presenza dell’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, colsi l’occasione e con mio grande piacere feci risuonare il nome di Carlo Perfetti come punto di riferimento fondamentale della riabilitazione neurocognitiva in un ambiente accademico, scientifico e clinico, diciamo così, non particolarmente sensibile al suo metodo innovativo. Di sicuro, il metodo Perfetti va contro il modello aziendalistico che si è affermato nella sanità e di cui stiamo vedendo e subendo tutti i limiti nel dramma dell’attuale pandemia. Perfetti puntava al concetto di apprendimento che deve avvenire in condizioni sistemiche. Non ragionava in termini puramente anatomici e meccanicistici, per lui contavano i circuiti senso-motori in cui sistema muscolare e sistema nervoso interagiscono per raggiungere lo scopo. Puntava alla capacità di sostituzione e di plasticità del sistema nervoso nonostante la sua specializzazione. Considerava il movimento del corpo come una forma di conoscenza che, in condizioni patologiche, poteva essere appresa dal neuroleso. Conosceva bene il senso materiale della metafora, perché il linguaggio era corpo, corporeità, per dirla con Merleau-Ponty, e penso che Carlo sarebbe stato d’accordo, corpo proprio.

Carlo Perfetti era un toscano ruvido e generoso, come può esserlo uno che era nato e cresciuto in quel territorio che sta tra Massa, Carrara, la Lunigiana. Non era tipo da cedere a lusinghe accademiche o economiche, che potessero comportare cedimenti sul suo modo di fare e di pensare. Si formò a Pisa dove diresse il centro di riabilitazione, ma poi, uomo di sinistra, sbatté la porta a un’amministrazione ospedaliera di sinistra che forse traccheggiava un po’ troppo con una medicina intrisa di massoneria e se ne andò a Schio dove costruì una vera, grande scuola di Riabilitazione che contrastava e contrasta l’ideologia della velocità e della presunta efficienza terapeutica basata sul modello aziendalistico oggi così in voga. È stato un vero maestro, un grande medico, capace di intrecciare come pochi conoscenza scientifica, intelligenza clinica e coerenza etica.