Dal tono della voce si comprendono le sfumature dell’umore di ognuno di noi. Così è anche per i fiumi, che dai monti scendono a valle. Se impariamo a conoscerne la voce, costruiamo un rapporto più profondo e consapevole con loro e con l’ecosistema che li circonda. Soprattutto impariamo a intuire le avvisaglie di cambi più o meno repentini di portata e di trasporto di materiali. Per fare questo, ci vengono in soccorso le nuove tecnologie di cui si servono i ricercatori della Libera Università di Bolzano, che da anni studiano la «voce dei torrenti» nei bacini dei torrenti Gadria e Solda.

NEL PRIMO, CHE E’ DIVENTATO un laboratorio a cielo aperto, analizzano come «viaggiano» le colate detritiche, ovvero ondate improvvise di sedimenti misti ad acqua, pericolose per la loro alta velocità e in grado di impattare anche nel fondovalle. Nel secondo, per meglio comprendere come il cambiamento climatico agisca sui torrenti, è stata installata la prima stazione permanente dedicata al monitoraggio del trasporto solido con geofoni. Unica in Italia e una delle poche in Europa.

ALLA BASE, UN’OSSERVAZIONE SEMPLICE. «Tutti hanno avuto occasione di camminare lungo un corso d’acqua. In condizioni normali, un grande fiume – spiega Velio Coviello, ricercatore esperto di rischi idrogeologici – scorre sinuoso e silenzioso in pianura. Al contrario, un torrente di montagna produce molto più rumore anche a causa degli impatti prodotti dai ciottoli trasportati dalla corrente (il trasporto solido, in gergo scientifico). Durante una piena, il rumore diventa più intenso. Per questo utilizziamo sensori sismici e acustici per rilevare il rumore e le vibrazioni prodotte da corsi d’acqua da cui ricaviamo informazioni sulla portata liquida, sulla quantità di materiale solido trasportato e sulle variazioni nel tempo».

LE RILEVAZIONI SONO FONDAMENTALI per dare allerte alle comunità che vivono nei pressi di un torrente montano. «Con i geofoni – continua Coviello – acquisiamo la vibrazione prodotta dal passaggio di una colata detritica. Tramite un algoritmo sviluppato assieme a colleghi del Cnr Irpi, una centralina elettronica riconosce automaticamente la vibrazione. L’algoritmo riesce anche a distinguere la colata detritica da altre sorgenti di vibrazione e a identificare la sua durata. Rilevare l’arrivo di eventuali ondate successive è importante perché purtroppo spesso succede che impattino sugli automobilisti bloccati lungo una strada o sui soccorritori chiamati a intervenire». Questa ricerca è raccontata nel documentario La voce dei torrenti ed è resa possibile dal supporto dell’Agenzia per la Protezione Civile della Provincia Autonoma di Bolzano che ha messo a disposizione risorse per installare strumentazione sul torrente Gadria.

VELIO COVIELLO LAVORA nel team guidato da Francesco Comiti, docente di Gestione dei rischi naturali nelle aree montane, e formato da forestali, ingegneri, geologi e biologi: «Ci occupiamo – spiega il professor Comiti – di idro-geomorfologia applicata e mitigazione dei rischi naturali in ambiente alpino e vulcanico. Installiamo strumenti di monitoraggio all’avanguardia, raccogliamo campioni d’acqua e roccia che poi analizziamo in laboratorio, utilizziamo immagini satellitari per monitorare il territorio. Purtroppo, io sono l’unico con uno stipendio assicurato, mentre tutti i miei collaboratori sono precari. Questo rende faticoso il nostro lavoro a lungo termine, in quanto costringe a dedicare molto tempo al reperimento dei fondi necessari per assicurare continuità alla ricerca. Si parla molto dell’importanza dello studio dei rischi naturali ma il finanziamento pubblico a tali ricerche è ampiamente insufficiente, al contrario di quanto avviene per gli studi aventi ricadute economiche immediate nel settore privato, che permettono una maggiore spendibilità in termini elettorali. Per tali motivi anche gli interventi non strutturali di mitigazione del rischio vengono raramente portati a termine».

IL TEAM STA LAVORANDO ANCHE IN PIEMONTE nel bacino dell’Orba (Alessandria), reduce dall’alluvione del 2019, per ricostruire nel dettaglio cosa era successo. «Questo permette di capire l’origine dei problemi e, quindi, fornire elementi – affermano Comiti e Coviello – per mitigare il rischio alluvionale in occasione dei prossimi eventi eccezionali. Quella che ha colpito Castelletto d’Orba è stata una piena improvvisa, caratterizzata da aumenti rapidissimi della portata d’acqua e dall’essere circoscritta in un’area relativamente piccola. Contiamo di poter analizzare anche il recente evento del Cuneese (avvenuto lo scorso ottobre) diverso rispetto a quello del 2019 per le durate di piena maggiori e la vastità delle zone colpite».

SUGLI EFFETTI ROVINOSI DEGLI EVENTI alluvionali influiscono la cementificazione e i cambiamenti climatici: «Il suolo forestale – sottolinea Comiti – è come una spugna molto spessa che trattiene efficacemente l’acqua piovana, il suolo agricolo è come una spugnetta sottile, le superfici urbane sono, invece, come un telo di plastica: non fanno passare l’acqua. Meno acqua si infiltra nel suolo, maggiore sarà l’entità della piena, a parità di pioggia. È da precisare, però, che se la pioggia è abbondante da saturare il suolo, allora l’effetto mitigatore del suolo si riduce fortemente. Non di meno, è dimostrato ampiamente come la conversione di superfici boscate e agricole ad aree urbane ha fortemente incrementato la frequenza degli eventi di piena, soprattutto nei piccoli bacini idrografici. Inoltre, nelle aree urbane i corsi d’acqua sono stati quasi annullati, ovvero ristretti e tombati per lasciar spazio alle costruzioni. Se a questo ci aggiungiamo un aumento dell’intensità delle piogge dovuta al cambiamento climatico, la frittata è fatta».

UN FIUME CONTRASSEGNATO DA UN’ECCESSIVA escavazione di sedimento è più pericoloso in quanto presenta problemi di stabilità delle sponde e delle opere presenti che possono venire scalzate. Anche un corso senza vegetazione è più instabile. Cosa fare allora? «Prima di tutto – risponde il professor Comiti – non costruire in zone pericolose, lasciandole al fiume. Ciò permette di attenuare in parte lungo il percorso le portate di piena che possono espandersi su superfici maggiori senza causare danno alle aree urbane. Se questo non è fattibile o non voluto, allora dobbiamo cercare di trattenere almeno il sedimento e i tronchi trasportati in grande quantità durante le piene prima che arrivino nei centri abitati, lasciando però che passino durante le morbide (nei periodi umidi quando scorre abbondante acqua) non creando disagio. A questo servono le briglie filtranti. Infine, rimuovere i ponti che ostacolano il deflusso e il trasporto dei tronchi durante le piene, riprogettandoli con dimensioni e forme adeguate. Si tratta di un processo lungo e costoso ma nel lungo periodo porterebbe a una riduzione importantissima del rischio idraulico in moltissime aree italiane».