Il fronte della guerra al califfato fuoriesce dai territori occupati di Siria e Iraq. Libano, Libia, Iran, Turchia: la battaglia all’Isis è un conflitto per procura dei tanti attori regionali, che trasformerà irrimediabilmente la mappa mediorientale. Ne abbiamo parlato con Salah al Nasrawi, analista e giornalista iracheno.

Quali saranno gli sviluppi futuri nella regione? Una divisione definitiva di Siria e Iraq in zone di influenza esterne?

Assisteremo ad una divisione di potere tra Iran, Turchia e Usa, una battaglia tra chi controllerà l’Iraq. Washington sta creando un’ingente forza sunnita, 100mila soldati, che cambierà gli equilibri sul terreno. L’esercito iracheno è formato da 85mila soldati, a cui si aggiungono 20-25mila miliziani sciiti (a cui al-Abadi ha promesso lo stipendio). Quindi 100mila militari sciiti, 100mila sunniti e poi i peshmerga. Questa è una divisione reale, parliamo di tre eserciti, tre enclavi definite da linee settarie.
Nasceranno tre entità diverse in Iraq, pronte a combattersi, una formula volta alla divisione del paese e non alla sua unificazione: gli Usa lo hanno detto, vogliono un Iraq federato. Ma non mancano dubbi: quando i sunniti avranno il loro esercito, perché dovrebbero piegarsi al governo centrale?

Gli iraniani questo lo sanno bene: l’Ayatollah Khamenei la scorsa settimana ha detto che l’ideologia sciita è ovunque in Iraq, Siria, Libano e Yemen; e Nasrallah ha parlato in un incontro con Maliki del tentativo sunnita di creare un fronte ampio di controllo, un’entità che sarà annessa alla Giordania e diventerà l’alternativa allo Stato di Palestina, che accolga i rifugiati palestinesi dai vari paesi arabi. La formula è palese: creare un’entità sunnita separata da quella sciita e alawita. La domanda da porsi è se l’Iran si fermerà a Baghdad o cercherà di prendersi tutto il paese, sostenendo contemporaneamente Assad perché ricontrolli tutta la Siria.

Nella regione non è in corso una mera battaglia tra coalizione e Isis, ma un processo di ridefinizione geografico, una nuova mappa del Medio Oriente i cui confini siano ridisegnati in base agli interessi strategici dei vari attori.

I risultati li vedremo tra 5-10 anni, ma non ci saranno passi indietro: non vedremo più l’Iraq unito come prima, né vedremo la Siria unita come prima a meno che non si arrivi ad un compromesso storico tra sciiti, sunniti e curdi, una tregua di lungo periodo.

L’Iran bombarda l’Isis in Iraq, la Turchia preme per la zona cuscinetto. Quella in atto sembra una guerra tra asse sciita e asse sunnita.

Dopo che Phantom iraniani hanno bombardato l’est dell’Iraq, il segretario di Stato Usa Kerry ha definito i raid un fatto positivo perché aiutano a combattere l’Isis. La cooperazione ufficiosa tra Washington e Teheran va avanti da mesi, è il segreto di Pulcinella. Quello che è cambiato è che adesso c’è un video di Al Jazeera che mostra gli aerei in volo: la cooperazione da ufficiosa si è fatta concreta e questo preoccupa i media Usa e Israele, ma non la Casa Bianca.

Lo stesso giorno in cui è stato girato il video, un altro video dell’agenzia stampa curda Rudaw ha mostrato per la prima volta pasdaran in Iraq, accanto a peshmerga e milizie sciite irachene. Tutto ciò ci dà il disegno chiaro di quello che l’Iran sta facendo: il corridoio di 160 km dal confine iraniano è ora pulito e può essere utilizzato senza timore di attacchi. È fondamentale dal punto di vista strategico, l’intera zona è aperta all’intervento iraniano che manda già consiglieri militari, truppe e armi. Ora avrà accesso a zone prima non coperte.

In questa battaglia geopolitica si infila la Turchia. Ankara cerca da anni di modificare il volto della Siria e risolvere la questione kurda. L’idea di creare un’entità sunnita tra Iraq e Siria la intriga, ma ha una visione diversa: includerla in una più ampia entità kurdo-sunnita, che permetta di neutralizzare i kurdi iracheni e il potere che hanno in campo energetico, da cui non vuole essere dipendente.

In Iraq al-Abadi sta effettivamente riformando l’esercito o si tratta solo di operazioni di make-up?

Il premier ha tirato fuori la questione dei soldati fantasma come risposta alle richieste Usa. Obama deve giustificare il fallimento in Iraq di fronte all’opinione pubblica e, allo stesso tempo, mandare un messaggio agli sciiti: la necessità di creare una milizia sunnita è figlia delle incapacità delle truppe sciite.

Al-Abadi non ha però l’autorità necessaria a riformare le forze armate perché infiltrate da milizie sciite indipendenti, o peggio legate all’ex premier Maliki. Il problema non è il costo in sé, ma che il denaro pagato a queste milizie serve a creare una rete clientelare. Maliki ha comprato fedeltà, ha comprato uomini, per avere sostegno politico e militare. Resta da vedere se al-Abadi è pronto a sacrificare la fedeltà di questi soggetti sull’altare Usa.

Sul terreno qual è la ragione di tanto ritardo nella controffensiva governativa?

Le forze sciite sono riuscite a disegnare la linea di separazione tra Baghdad e aree sciite da una parte e aree sunnite dall’altra: controllano le vie di collegamento, da Karbala a Kirkuk, e le stanno ripulendo dalla presenza sunnita. Peshmerga e sciiti non vogliono liberare Anbar, area sunnita, per poi vederla consegnare ai sunniti. O Baghdad avrà la garanzia che una volta liberate Anbar e Mosul il potere centrale le potrà controllare o non interverrà.