Nessun cambio di rotta verso la protezione del clima da parte del trasporto marittimo internazionale. L’ultimo incontro della commissione per la protezione del mare di Imo (International Maritime Organization, l’agenzia Onu per la navigazione) si è concluso con documento che dà il via libera all’inquinamento atmosferico e all’aumento delle emissioni di gas ad effetto serra per il prossimo decennio a tutte le navi del mondo. Rispetto a una previsione di crescita della C02 per il settore del 15% annuo da qui al 2030, l’unico accordo possibile in sede Imo è stato contenere questo aumento al 14%. Un decennio perduto, il prossimo.

«Mentre gli scienziati ci dicono che abbiamo meno di 10 anni per fermare questa corsa forsennata verso la catastrofe climatica, l’Imo che fa? Decide che le emissioni possono continuare a crescere per altri 10 anni. Questa negligenza lascia davvero senza parole. La nostra preoccupazione va a tutte le persone più vulnerabili che pagheranno il prezzo più alto per questo atto di estrema follia», è lo sfogo di John Maggs, presidente della Clean Shipping Coalition, un gruppo di ong che ha lo status di osservatore nei negoziati Imo.

Ancora una volta il trasporto marittimo è riuscito a sottrarsi agli impegni sul clima: non è formalmente incluso nell’Accordo di Parigi e resta l’unica modalità di trasporto che esula dall’impegno di riduzione delle emissioni nell’Unione europea. Eppure, l’apporto di gas serra del trasporto marittimo è enorme: pesa come la sesta potenza industriale, più della Germania, ovvero il 2,89% di tutte le emissioni globali, superiore anche al settore aereo che totalizza il 2,4%.
E sono le previsioni di crescita del settore, che movimenta l’80% di tutte le merci del mondo, a compromettere seriamente ogni scenario di decarbonizzazione: si prevede che le emissioni del trasporto marittimo aumenteranno a livello mondiale tra il 50% e il 250% entro il 2050, che dovrebbe essere il traguardo per la neutralità climatica.

Nel mondo circolano circa 50 mila navi di grossa stazza (sopra le 50 mila tonnellate lorde) tra porta container, petroliere, grossi mercantili, responsabili dell’85% delle emissioni del comparto navale: trasportano 11 miliardi di tonnellate di merci all’anno e generano un reddito annuo di mezzo trilione di dollari solo in tariffe di trasporto. L’utile netto di Maersk Line, il leader globale della navigazione mercantile con una flotta di 600 unità, nel terzo trimestre del 2020 è stato di 1,042 miliardi di dollari, effetto del rimbalzo dopo il secondo trimestre di crisi Covid, unito al basso prezzo del petrolio, all’aumento delle tariffe di trasporto e alla capacità di pieno carico.

PUR IN QUESTA CONGIUNTURA SUPER-FAVOREVOLE, i 174 negoziatori dell’Imo non sono riusciti a imporre nemmeno un sistema efficace di controllo: dal 2011 le navi si devono dotare di un piano di gestione dell’efficienza energetica (SEEMP), che deve includere ogni tre anni una serie di misure correttive. Tuttavia, fa notare Maggs, «non è prevista nessuna penalità se gli armatori non lo fanno o, se lo fanno, ma non ottengono risultati».

La debolezza sta quindi nel meccanismo di funzionamento dell’Imo: «Il problema è il metodo del consenso – spiega Maggs – che porta al raggiungimento di accordi con il più basso denominatore comune. Se vogliamo ottenere risultati ambiziosi, all’altezza delle sfide, dobbiamo abbandonarlo. A questo punto, l’unica cosa che si può fare è che a livello regionale o di singoli stati si cominci a limitare l’ingresso ai porti solo alle navi che hanno standard compatibili con gli obiettivi climatici».

Resta il problema di come classificare e individuare queste navi, dal momento che siamo all’anno zero anche nella definizione degli standard. Per quanto la UNFCCC (Convenzione quadro Onu sui cambiamenti climatici) abbia demandato a Imo dal 1997 di regolamentare il settore, solo nel 2019 è stato introdotto a livello internazionale un sistema di raccolta dei dati delle emissioni delle navi, il Dcs, e solo dopo che l’Unione europea nel 2018 era riuscita a introdurre un suo sistema, il Mrv, con il risultato che adesso esistono 2 sistemi che devono essere uniformati.

NEMMENO SULLA DIMINUZIONE DELLA VELOCITÀ – il più immediato ed efficace sistema per tagliare le emissioni, visto che queste sono una funzione del consumo di carburante – si sono fatti passi avanti: la proposta di Clean Shipping Coalition durante i negoziati Imo si è arenata sulle rimostranze dei paesi più distanti dai porti di Asia e Europa, in particolare Cile e Argentina, che si ritengono i più penalizzati da una riduzione generalizzata della celerità delle consegne via mare. Gli effetti della riduzione della velocità sono stati misurati durante la crisi del 2008-2009, quando alcune flotte hanno ridotto volontariamente i motori del 10-20% sia per compensare la minore richiesta di merci sia per risparmiare sul carburante: una riduzione di velocità del 10% abbatte del 13% le emissioni; se la velocità si riduce del 20% le emissioni calano del 24%. Inoltre, una diminuzione ottimale del 20% ridurrebbe del 66% l’inquinamento sonoro sottomarino, l’inquinamento atmosferico di ossidi di zolfo e azoto, i costi dei trasporti e andrebbe ad aumentare la sicurezza dei trasporti.

La vera sfida per la decarbonizzazione del trasporto marittimo si giocherà sul fronte dei carburanti alternativi all’olio combustibile pesante, quello usato per la maggiore. Parallelamente a quanto successo nella produzione di energia, dal 2000 il settore marittimo ha investito nel gas naturale liquido (Gnl), costituito in gran parte da metano, che offre il vantaggio di non emettere ossidi di zolfo e di azoto e particolato, e può almeno contribuire a migliorare la qualità dell’aria in prossimità dei porti (attualmente è utilizzato solo da circa 400 navi, mentre altre 150 sono in conversione).

SUL FRONTE DELLA LOTTA AI CAMBIAMENTI CLIMATICI, però, il Gnl è un’arma spuntata perché è comunque un forte gas serra (30 volte più potente della CO2) e, sebbene contribuisca a tagliare la CO2 del 25%, questo risparmio è vanificato dal fatto che il metano è una fonte primaria di emissioni indirette, quelle che si originano nelle fasi di trasporto ed estrazione.

I più promettenti restano gli elettrocombustibili, prodotti stoccando energia elettrica in un carburante liquido o gassoso come idrogeno, ammoniaca o metanolo. Fincantieri a Castellamare di Stabia sta costruendo Zeus, che sta per Zero emission ultimate ship, la sua prima barca a celle a idrogeno, una 30 metri che sarà varata nel 2022. È concepita come un laboratorio galleggiante realizzato in collaborazione con le università di Genova, Napoli e Palermo per testare varie tipologie di motori a zero emissioni (oltre agli ausiliari a diesel, per ragioni di sicurezza), ma anche zero vibrazioni e zero rumori, un prototipo con varie applicazioni per la prossima generazione di navi da crociera e per formare la futura leva di ingegneri navali.