Dall’Fp-Cgil all’Unione delle camere penali, si allunga di ora in ora la lista delle adesioni alla «Marcia per l’Amnistia, la Giustizia e la Libertà» intitolata a Marco Pannella e a Papa Francesco indetta per questa mattina a Roma dal Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito, in occasione del Giubileo dei carcerati.

Un’iniziativa attorno alla quale si ricoagula tutta la galassia radicale, dopo i recenti e ancora non sopiti mal di pancia interni, compresa Radicali italiani che ha recentemente chiuso il suo congresso riconfermando Riccardo Magi segretario.

Emma Bonino lo ha detto chiaramente: nessuno si senta il vero e solo erede di Pannella. Infatti anche voi oggi sfilerete dal carcere di Regina Coeli a Piazza San Pietro per chiedere l’amnistia, in nome di Marco Pannella e del Papa. Ma che senso ha oggi una tale richiesta, accostando due persone così diverse? Non è un po’ una forzatura?
No, non lo è. Innanzitutto perché l’amnistia, come diceva Marco, serve per far rientrare le istituzioni italiane nella legalità. Il cui confine è dato dalle leggi italiane, dalla Costituzione e anche dagli standard internazionali, basti pensare alle tante condanne ricevute della Cedu. Nonostante ci sia una diminuzione generale dei detenuti, sappiamo che la situazione delle carceri italiane resta drammatica. Quindi l’amnistia rimane comunque l’unica soluzione per tornare allo stato di diritto. Perché intitolarlo a due persone così diverse? Non lo trovo strano: c’è stata oggettivamente una convergenza tra il messaggio del Pontefice e quello, pienamente politico ma anche molto spirituale, soprattutto negli ultimi anni, di Marco. Basti pensare al richiamo di oggi (ieri, ndr) di Papa Bergoglio su un’altra questione centrale sulla quale siamo impegnati: quella dell’accoglienza e dell’inclusione degli immigrati.

La convergenza però si ferma agli atti di clemenza, perché è difficile che Papa Francesco condivida la vostra politica antiproibizionista.
Infatti questo ci contraddistingue. Durante il congresso, che ha avuto un esito non scontato, rilanciando un movimento che si è ritrovato unito in una bella atmosfera, abbiamo visto tante nuove persone che si sono avvicinate in occasione della campagna per la legalizzazione della cannabis e per la decriminalizzazione dell’uso di tutte le sostanze stupefacenti.

Anche il Guardasigilli Andrea Orlando, intervenendo al congresso di Magistratura democratica, ha denunciato la tentazione crescente di affrontare con la sola risposta penale i problemi sociali. E ha detto che se il tema delle carceri viene affrontato solo nel giorno del Giubileo dei detenuti «è un problema per tutta la sinistra».
Il ministro Orlando coglie un punto essenziale: l’illusione che i grandi temi sociali si possano affrontare attraverso la repressione e quindi il diritto penale. Purtroppo è ciò che avviene oggi, visto che un terzo dei detenuti ha subito condanne per violazione della legge sulle droghe e un altro terzo è costituito da immigrati. È evidente che pensare a delle riforme in questi settori è un’urgenza quanto mai pressante e avrebbe effetti positivi immediati anche sul sovraffollamento carcerario.

E i cittadini italiani lo sanno: avete superato le 50 mila firme necessarie per portare in parlamento la legge di iniziativa popolare sulla legalizzazione della cannabis. A che punto è l’iter?
Nonostante più di 60 mila cittadini che hanno firmato, siamo ancora con il fiato sospeso perché, in base a una normativa “medievale” a cui ancora siamo sottoposti, non bastano le firme ma occorre il certificato elettorale di ciascuno dei firmatari della proposta di legge. Abbiamo dovuto inviare a migliaia di comuni italiani la richiesta, via pec, di questi certificati. Molti non ci hanno ancora risposto, alla faccia dell’amministazione digitale. E abbiamo tempo fino all’11 novembre per consegnare firme e certificati.

Quindi c’è il rischio che la campagna possa naufragare per questo?
Sarebbe una cosa estremamente grave. Infatti una delle nostre battaglie centrali è quella per la semplificazione della raccolta di firme attraverso l’identità digitale. Se non si fa almeno questo, la riforma costituzionale, aumentando il numero di firme richieste, rischia di affossare definitivamente referendum e leggi popolari.