La lotta di Berta Caceres, ambientalista e femminista honduregna vive nei contenuti del movimento globale Non una di meno che, ieri, ne ha ricordato l’impegno in molte piazze del mondo. Berta, un’indigena lenka, è stata uccisa un anno fa da un gruppo di uomini armati, il giorno prima del suo compleanno. Era una leader del Consejo Civico de Organizaciones Populares e Indigenas de Honduras (Copinh). Aveva ricevuto il premio Goldman, il massimo riconoscimento mondiale per l’ambiente. E ieri, Greenpeace le ha attribuito un premio, alla memoria. Prima di essere uccisa, Berta aveva ricevuto molte minacce e due dei suoi quattro figli avevano dovuto lasciare il paese.

La sua lotta aveva ostacolato grandi interessi, in un paese di enormi disuguaglianze, altamente militarizzato. Le vittorie del popolo lenka (la principale etnia del paese) contro l’impresa Agua Zarca, che stava per costruire nel fiume sacro agli indigeni, il Gualcarque, era un esempio da stroncare. Berta e il Copinh erano riusciti a ottenere il ritiro delle compagnie straniere dal progetto, anche della più grande impresa costruttrice al mondo, la Sinohydro. In questi giorni si è avuta conferma che il suo è stato un omicidio di stato, commissionato dall’impresa Desa a uomini dei servizi segreti, addestrati nella scuola di tortura Usa di Fort Benning.

«Con Berta Caceres abbiamo appreso lezioni indimenticabili, come la necessità di coniugare le lotte anticapitaliste, antipatriarcali e antirazziste», ha scritto il Copinh per ricordarla. Anche a Roma, ieri si è manifestato davanti all’ambasciata dell’Honduras. L’8 marzo alle 20,30 al Cinema Aquila, per ricordarla, il Comitato Berta vive organizza una serata «contro capitalismo, patriarcato, razzismo».
L’Honduras, che nel secolo scorso è stato al centro delle trame destabilizzanti a guida Usa, ne è rimasto a tutt’oggi il «cortile di casa», nonostante la resistenza dei settori popolari, pagata a caro prezzo. Per evitare che il pur moderato presidente di allora, Manuel Zelaya, portasse il paese nelle nuove alleanze solidali di Cuba e Venezuela, gli Stati uniti dettero il via libera a un colpo di stato, il 28 giugno del 2009.

Da allora, la repressione dei movimenti è in crescendo. E le donne, che come in buona parte dell’America latina guidano i movimenti popolari, sono state particolarmente prese di mira. Femminicidi politici, in aumento in quei paesi che, come il Venezuela, riconoscono più di altri la libertà femminile e il suo potere.