Svolta nell’inchiesta sull’operazione Gerico, il tentato golpe in Venezuela. La magistratura ha ordinato l’arresto del sindaco della Gran Caracas, Antonio Ledezma, leader del partito di opposizione Alianza Bravo Pueblo. Nella notte di giovedì, gli agenti del Sebin – il Servizio bolivariano di intelligence – hanno fatto irruzione nel suo appartamento in Torre Exxa, nel municipio Chacao. Una zona di classe medio alta, governata dall’opposizione e fulcro delle proteste violente scoppiate il 12 febbraio dell’anno scorso (43 morti e oltre 800 feriti). Quest’anno avrebbe potuto finire anche peggio se fosse andata in porto l’operazione Gerico, che – secondo i rapporti di intelligence – prevedeva il bombardamento dall’alto delle principali sedi politiche governative e l’uccisione del presidente Nicolas Maduro.

Stando alle indagini, un gruppo di ufficiali dell’aviazione si sarebbe fatto convincere all’avventura golpista da alcuni noti personaggi dell’opposizione che l’anno scorso hanno lanciato la campagna per la salida, la cacciata violenta di Maduro dal governo: Leopoldo Lopez, leader di Voluntad popular, sotto processo per le violenze di piazza, Maria Corina Machado e Antonio Ledezma.

Le confessioni degli arrestati hanno chiamato in causa il sindaco della Gran Caracas e altri nomi eccellenti dell’arco di opposizione, la Mesa de la Unidad Democratica (Mud). Per aumentare il caos, l’operazione Gerico prevedeva anche l’uccisione di Lopez in carcere e per questo gli ufficiali pentiti come il Comandante Gustavo Arocha hanno tirato in ballo il deputato Julio Borges. Arocha ha sostenuto di aver partecipato a riunioni operative anche con l’ex coordinatore della Mud, Guillermo Aveledo: «Nell’opposizione, tutti sapevano, l’operazione Gerico era un segreto di pulcinella», ha detto in tv Maduro e ha chiamato in causa un asse eversivo «che va da Miami a Madrid passando per la Colombia».

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Il sindaco di Gran Caracas, Antonio Ledezma

Un documento sottoscritto da Ledezma, Machado e Lopez e pubblicato su un quotidiano privato e a grande tiratura l’11 febbraio (El Nacional) avrebbe costituito il segnale d’avvio. Il documento si propone come Accordo nazionale per la transizione e detta l’agenda in più punti per il ritorno del Venezuela al neoliberismo della IV Repubblica. Un periodo in cui Ledezma, da governatore e da uomo politico non ha certo brillato nella difesa dei diritti umani. «Un vecchio zorro» del golpismo, secondo il suo discepolo e amico Lorent Saleh, a capo del gruppo di estrema destra Javu che lo avrebbe voluto come presidente della repubblica una volta eliminato Maduro.

Saleh e un suo sodale sono stati arrestati in Colombia e estradati poi in Venezuela. Il loro gruppo, attivo nelle violenze dell’anno scorso, progettava omicidi e attentati, tra cui quello a una discoteca con le persone dentro. Il giovane deputato chavista Robert Serra, la cui commissione parlamentare indagava sui legami tra Saleh e i paramilitari colombiani, è stato ucciso nel suo appartamento insieme alla compagna e per questo è ricercato un colombiano.

Dopo l’arresto di Ledezma, l’opposizione ha indetto una manifestazione e la moglie del sindaco ha ritenuto «Maduro responsabile della sicurezza di Antonio». Intanto, le reti di opposizione parlavano di una rivolta in corso nel carcere di Ramo Verde, dov’è rinchiuso Lopez. Omar Estacio, difensore di Ledezma ha detto invece che il suo assistito sta bene, «non è stato picchiato né torturato, né vessato ed è fiducioso di poter dimostrare che non ha commesso alcun delitto». Entro 24 ore, prorogabili fino a 48, Ledezma dovrà comparire davanti al magistrato.
Intanto, il governo Usa smentisce ogni coinvolgimento nell’operazione Gerico e torna a chiedere la liberazione di Lopez. Un’analisi della Cia sul Venezuela, presentata di recente al Congresso, aveva però suscitato le proteste del governo Maduro e dei presidenti socialisti dell’America latina: oltre a prevedere lo scoppio di nuove violenze di piazza, lasciava chiaramente intendere la scelta di campo Usa a favore dell’opposizione.

Ora, per Ledezma arrivano gli attestati di solidarietà delle destre latinoamericane ed europee. In particolare, si sono fatti sentire l’ex presidente cileno (già legato alla dittatura di Pinochet), Sebastian Pinera e l’ex presidente della Colombia, Andres Pastrana.

Schieratissimo, come di consueto, Jose Miguel Vivanco della ong Human Rights Watch: «Siamo di fronte a un nuovo caso di detenzione arbitraria in un paese in cui non c’è indipendenza giudiziaria», ha detto. Nonostante abbia l’incarico presso una ong internazionale per la difesa dei diritti umani, Vivanco non ha però mai preso in conto le denunce dei famigliari delle vittime delle guarimbas barricate di chiodi, detriti e fil di ferro messe su dai gruppi di estrema destra e che l’anno scorso hanno decapitato diverse persone.