Un ordigno esplosivo artigianale di quelli che si azionano al passaggio del convoglio, simile a tanti altri che negli ultimi mesi hanno colpito sulle strade del Mali centrale, facendo strage perlopiù di soldati maliani e caschi blu (togolesi) della missione Minusma. Stavolta però a morire per le ferite riportate nell’attacco, che è avvenuto a Hombori, regione di Mopti, sarebbe un uomo di nazionalità russa, descritto da diverse fonti raccolte da Rfi come un supplétif, un ausiliario delle Fama (Forces armées maliennes).

Non è dato minimamente sapere, 48 ore dopo, se si tratti di uno degli «istruttori militari» di cui la giunta di transizione al potere aveva a mezza bocca ammesso la presenza, «nell’ambito di un accordo di cooperazione bilaterale». O se la vittima sia invece uno dei fantasmatici mercenari della compagnia Wagner, la cui presenza sul campo – tra i motivi alla base del progressivo disimpegno militare nel paese africano della Francia e a rimorchio dell’Ue – continua a essere negata da Bamako.

Né sono giunti dettagli – si attende ancora il comunicato promesso dalle autorità maliane – su quanto è avvenuto dopo. La Minusma esprime «preoccupazione per le testimonianze di violazioni dei diritti umani avvenute a Hombori durante un’operazione condotta dalle forze maliane accompagnate da un gruppo di militari stranieri», annunciando l’apertura di un’inchiesta. Si parla un’irruzione nel mercato settimanale della cittadina a metà strada tra Douentza e Gao (dove c’è una base che parla anche italiano). Inseguimento misto a rappresaglia sulla popolazione, considerata in molti casi – se di etnia peul o fulani – complice dei jihadisti. Fonti locali parlano di morti, feriti e numerosi arresti.

Se per le sue modalità l’attacco di Hombori può essere attribuito al Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani, una delle formazioni – di fede qaedista – attive nell’area, il seguito ricorda in modo inquietante quanto avvenuto a Moura a fine marzo, quando durante analoga operazione militare “mista” sono state trucidate tra le 300 e le 400 persone. Tre settimane dopo le Nazioni unite ancora attendono il permesso per inviare i propri investigatori sul posto. Essendo che «il tempo è essenziale per garantire la responsabilità e una giustizia tempestiva ed effettiva per le vittime», come ricordano all’Onu, non c’è da stare sereni.

Restano le denunce e le decine di testimonianze raccolte da Human Rights Watch a raccontare il massacro indiscriminato di presunti miliziani e civili. Il ministero della Difesa di Bamako aveva parlato di «203 terroristi uccisi e 51 arrestati», incassando anche i complimenti del Cremlino per l’importante successo nella lotta contro il terrorismo