In Louisiana il colonialismo è nell’aria
Alias Domenica

In Louisiana il colonialismo è nell’aria

Cristalli liquidi «If toxic air is a monument to slavery, how do we take it down?» del collettivo RISE St. James

Pubblicato circa un anno faEdizione del 17 settembre 2023

Quando nel 1865 la schiavitù è abolita, sulle due sponde del Mississippi in Louisiana si contano oltre cinquecento piantagioni di canna da zucchero.

Un secolo e mezzo più tardi, oltre duecento sono riconvertite in industrie petrolchimiche altamente inquinanti, al punto che la zona tra Baton Rouge e New Orleans, una volta denominata Plantation Country, è oggi conosciuta come Petrochemical Corridor ma anche come Cancer Alley o Death Alley.

L’aria che si respira in Louisiana è una delle peggiori della nazione. Tossica e invisibile a occhio nudo, quest’aria avvelena le comunità locali, per la maggior parte nere, che si sono radunate in piccoli centri urbani, là dove i loro antenati hanno vissuto in schiavitù. Fino a ritrovarsi oggi stritolati tra impianti industriali di grande scala che non perdono occasione per espandersi.

Una logica cieca che non si ferma neanche davanti ai cimiteri, sorti nei pressi delle piantagioni che organizzavano la vita e gestivano la morte degli schiavi. Una profanazione di quanti hanno coltivato la canna da zucchero in condizioni di oppressione.

Sulle rive del Mississippi, insomma, il razzismo ha giusto cambiato di veste, prendendo le forme di un’espropriazione industriale e di un assalto chimico. Un razzismo leggibile anche nella gestione del patrimonio locale: se le case coloniche vengono preservate e valorizzate, visitate come gioielli architettonici e affittate per feste e matrimoni, i cimiteri degli schiavi sono ignorati e persino cancellati dalla cartografia ufficiale.

È qui che entra in gioco Forensic Architecture, gruppo di ricerca multidisciplinare basato a Londra diretto dall’architetto Eyal Weizman, sollecitato dal collettivo locale RISE St. James. If toxic air is a monument to slavery, how do we take it down? (2021), un video di 35 minuti, comincia con la rimozione dal piedistallo di una statua legata al colonialismo. Siamo nel 2017. Se l’importanza simbolica di tale gesto è evidente, la questione sociale resta irrisolta e le disuguaglianze cambiano giusto d’elemento, diffondendosi nell’aria che respiriamo.

Forensic Architecture adotta diverse tecniche come la modellazione 3D, la optical gas imaging che rende visibili gli idrocarburi, la cartographic regression che sovrappone diverse mappe della zona, a partire da quella indigena del 1719 utilizzata dai colonialisti per organizzare l’espropriazione e il genocidio dei loro abitanti.

Il collettivo annota così delle «anomalie topologiche» – «gruppi di alberi o macchie di terreno incolto che spezzano una topografia altrimenti ininterrotta di campi agricoli» – dove potrebbero trovarsi dei cimiteri scomparsi dalle mappe e dalla memoria.

Identifica inoltre sei sostanze inquinanti prodotte dall’industria – ammoniaca, monossido di azoto, benzene, cloroprene, ossido di etilene e polveri sottili – e, grazie ai dati meteorologici sui venti, ne calcola la concentrazione nell’aria e i passaggi sulle zone abitate. Una coltre tossica all’origine dell’elevato tasso di cancri contratti dalla popolazione locale.

Se l’aria tossica è un monumento alla schiavitù, come possiamo abbatterla? Così recita il titolo del video di Forensic Architecture, esposto in vari centri d’arte contemporanea negli ultimi due anni ma anche in vari tribunali in quanto documento scientifico.

La risposta è nel risarcimento ecologico, che deve partire da un elemento invisibile quale l’aria, raramente considerato dalle politiche post-coloniali, e che ci porta a riflettere al di là delle statue in quanto simboli del potere oppressivo da abbattere.

L’enquête di Forensic Architecture, ricostruita nel video a ritmo serrato, riuscirà nel suo intento, ovvero una moratoria alle future espansioni del corridoio petrolchimico in Louisiana?

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