In Libia tornano a parlare solo le armi, mentre l’abbattimento in pochi giorni non di uno, ma di due droni MQ1-Predator italiani nei cieli libici da parte della contraerea del generale Khalifa Haftar non sembra scalfire più di tanto l’afasia del governo Conte.

CHE LA GUERRA sia l’unica opzione, con buona pace dei confusi sforzi diplomatici delle potenze occidentali che proseguono anche in queste ore, lo dice chiaramente il portavoce di Haftar e dell’autoproclamato Esercito nazionale libico, Ahmed Al Mismari: «Non esiste alcuna possibilità di successo per una soluzione politica o economica della crisi in Libia se prima non vengono eliminate le milizie armate e i gruppi terroristici al servizio del capo del Consiglio presidenziale». Insomma, nessun dialogo con il Governo di accordo nazionale (Gna) di Fayez al Sarraj, quello riconosciuto dall’Onu.

Il conflitto che dal rovesciamento di Gheddafi insanguina il paese sembra così entrare in una nuova fase acuta. Se Misurata e il suo aeroporto – con annessa la base che ospita i 300 soldati italiani – resta sotto il tiro di Haftar, da giorni sono ripresi intensi i combattimenti anche a sud di Tripoli, dove il generale di Bengasi sta facendo convergere rinforzi in vista dell’ennesima presunta “battaglia finale”.

PER CONTRO – lo riferisce una fonte anonima a Agenzia Nova , un convoglio di unità fedeli al Gna starebbe avanzando verso la zona dei giacimenti petroliferi di Sharara – che nella mappa del conflitto libico ha i colori dell’Lna – sotto la guida del generale Ali Kanna, comandante dell’area militare di Sebha. Nella città di Ubari, non lontano dagli impianti, troveranno schierate le brigate che prendono il nome da questa città del sud-ovest libico, le quali ieri hanno ribadito il loro sostegno a Haftar «per liberare l’intera patria e ripristinare la dignità del cittadino».

IL PETROLIO RESTA ELEMENTO centrale della guerra, come dimostra indirettamente il duro scontro verbale avvenuto nei giorni scorsi a margine del Consiglio economico libico-britannico che si è tenuto a Tunisi, tra il presidente della compagnia petrolifera libica National Oil Corporation (Noc) Mustafa Sanallah e il governatore della Banca centrale della Libia, con sede a Tripoli, Sadik al Kabir. Al centro dell’alterco c’era proprio la ripartizione dei proventi del petrolio tra le forze in campo.

LA NUOVA IMPENNATA delle violenze e dei bombardamenti incentiva ovviamente le nuove partenze dei migranti dalla costa. L’ultima strage in mare ne è un effetto diretto. Su questo e sul resto si attende che il governo di Roma batta un colpo. Dopo l’abbattimento del primo velivolo senza pilota lo Stato maggiore della Difesa aveva fatto sapere che si trattava di un aereo impegnato nell’operazione “Mare sicuro” sfuggito al controllo radio. Doveva essere finito parecchio fuori rotta, perché Tarhouna, dove è stato intercettato, si trova nell’entroterra di Tripoli, sulle montagne, a 40 km dalla costa.