Ha avuto per lo più obiettivi economici la visita di ieri in Libia del ministro degli Esteri Di Maio. Due le sue tappe: la prima a Tripoli dove ha incontrato i vertici del Governo di Accordo Nazionale (Gna) di al-Sarraj e la seconda a Qubba (nell’est del Paese). Come al solito Roma si è posta al centro dei due contendenti cercando di raschiare quel po’ di spoglie libiche che il suo alleato nella Nato (la Turchia) non si è ancora accaparrato. Negli incontri tripolini si è discusso soprattutto dei progetti di cooperazione bilaterale, alcuni di berlusconiana memoria: dall’aeroporto della capitale affidato ad un consorzio italiano, alla strada litoranea Amsaed-Ras Jidir che copre l’itera costa libica dall’Egitto alla Tunisia (1.700 chilometri, 5 miliardi di dollari in 20 anni il suo costo). Progetto importante quest’ultimo affidato nel 2012 con un gara d’appalto ad Impregilo. I lavori erano stati poi sospesi per la forte instabilità politica.

Altro tema importante è stato quello dei crediti vantati dalle aziende italiane per lavori iniziati e mai finiti a causa del conflitto: saranno trattati ora da una Commissione italo-libica «ad hoc» guidata per parte italiana dal sottosegretario Di Stefano (volato anche lui ieri in Libia). «Le imprese italiane sono le benvenute da noi», ha assicurato al-Sarraj a Di Maio. Il ministro italiano ha ringraziato. «La Libia – ha affermato – rappresenta un attore importante, uno snodo cruciale per costruire un nuovo modello di sviluppo nel Mediterraneo con scambi commerciali fiorenti e opportunità di crescita».

Accanto alle questioni economiche, il titolare della Farnesina ha affrontato anche quella politica rappresentata dal cessate il fuoco annunciato lo scorso 21 agosto da Tripoli e da Aguila Saleh, il presidente del parlamento rivale di Tobruk (est del Paese). Un’intesa, ha detto Di Maio, che l’Italia «accoglie con favore e sostiene».

Ma a preoccupare non è più solo la guerra tra Tripolitania e Cirenaica: congelato il fronte di Sirte grazie anche all’ascesa politica del «moderato» Saleh ai danni del generale guerrafondaio Haftar, la tensione è infatti ora alle stelle tra le file di al-Sarraj. La crisi è esplosa pubblicamente lo scorso 28 agosto quando il premier ha sospeso il potente ministro degli Interni Bashagha in attesa di un’indagine sulla sua gestione delle recenti proteste duramente represse in Tripolitania da gruppi armati pro-Gna. Una vicenda non chiara e che secondo la versione in arabo di Russia Today si sarebbe conclusa grazie alla mediazione dei gruppi armati: Bashagha ritornerà al suo incarico e a patto che ciascun gruppo armato resterà nella sua area di influenza.

Scenario non confermato, ma che tuttavia ribadisce quanto il Gna sia ostaggio di milizie più o meno criminali (e islamiste) che rendono il Paese un mosaico difficile da unire. Emblematiche le parole del comandante della Brigata 166ma di Misurata – gruppo armato di primo piano contro lo “Stato Islamico” a Sirte nel 2016 e contro Haftar – che ha già ordinato «il massimo grado di prontezza militare» se Bashagha dovesse essere licenziato. Al-Sarraj, più presidente di qualche municipalità di Tripoli che premier, è avvisato. Osserva per ora in silenzio la crisi politica dei suoi alleati Ankara: in ballo ci sono affari economici e geopolitici in Libia da non bruciare.

Continua a destare preoccupazione anche il Coronavirus. L’altro giorno registrati 543 nuovi contagi (13.966 i totali, 237 i morti). L’epidemia è arrivata anche nel giacimento petrolifero di al-Sharara dove un dipendente filippino è morto di Covid. Possibile ora la sua chiusura.