A bocciare su tutta la linea la legge Fini-Giovanardi è anche una scienziata come Carla Rossi, docente di Statistica all’università romana di Tor Vergata e membro del managing board dell’Osservatorio europeo sulle droghe. «Cambiare la legislazione italiana – dice – è necessario non solo per ridurre il danno, ma anche per stroncare il guadagno delle organizzazioni criminali, che in Italia è maggiore che negli altri paesi europei». In questi giorni è occupata a preparare il convegno dell’International society for the study of drug policy che l’anno scorso per la prima volta si è tenuto in un paese del Sudamerica, a Bogotà.

Quest’anno il convegno dell’Issdp sarà a Roma, a maggio, e inevitabilmente l’attenzione sarà puntata sull’Europa. Dopo un ventennio di fallimentare «war on drug» e l’evidente cambio di passo nelle politiche antidroga mondiali, quale scenario caratterizza l’Europa?

Qualcosa sta cambiando nell’approccio del mondo occidentale al problema, ma molto lentamente. E in Europa si profilano diversi scenari, mentre l’Italia si conferma in posizione più arretrata rispetto agli altri Stati membri. La politica più avanzata sulle tossicodipendenze è quella del Portogallo dove chi viene trovato in possesso di sostanze come consumatore non compare davanti al prefetto, come da noi, ma davanti a una commissione di psicologi e medici che fa capo al ministero della Salute e non dell’Interno. Subito dopo viene la Repubblica Ceca, dove i giovani consumano più che negli altri Paesi europei ma con danni molto minori, come si evince dallo studio di Espad sull’utilizzo delle droghe a scuola, tra i 15-16 enni, in 38 Paesi europei. L’Italia invece è nella condizione più grave: la frequenza d’uso media è più bassa che in Francia, ad esempio, ma le sostanze usate dai giovani sono più pericolose e creano più danni. Sempre più giovani usano psicofarmaci senza prescrizione, in particolare le ragazze. La cocaina, invece, è la seconda sostanza, dopo la cannabis, usata dai ragazzi.

Cosa si muove nella politica a livello comunitario?

La Commissione europea ha più volte sollecitato gli Stati membri a porre più attenzione sulle nuove sostanze chimiche introdotte sul mercato – più di 100 solo nell’ultimo anno – e spesso vendute su internet. Sostanze che hanno una composizione chimica molto variabile in modo da sottrarsi continuamente ai divieti, per le quali è molto difficile fare prevenzione e che fanno molti più danni della cannabis. Come membro dell’Osservatorio europeo, posso dire che la legalizzazione della cannabis, come ha fatto l’Uruguay, servirebbe soprattutto a erodere il mercato di queste droghe sintetiche, almeno inizialmente. Sarebbe molto più efficace fare questo passo piuttosto che correre dietro alla composizione di quelle sostanze che hanno un mercato – diciamo così – molto “volatile”, e accelerare la loro messa al bando.

E l’Italia come si colloca in questo scenario europeo?

La risposta repressiva particolarmente accentuata con la legge Fini-Giovanardi non funziona più, si vede chiaramente: dal 2006 è aumentato il numero delle persone coinvolte nello spaccio, più che in Belgio dove la legislazione è maggiormente attenta alla salute. Aver unificato tutte le sostanze in un’unica tabella non è scientifico. Perfino la normativa più proibizionista d’Europa, quella svedese, fa differenza tra le sostanze. E comunque non è la legge che riduce il consumo: ogni variazione dipende dalle organizzazioni criminali che hanno in mano il mercato.

Cambiare la legge servirebbe anche a ridurre il guadagno delle narcomafie?

Si. In Italia il valore del mercato di cannabis, cocaina ed eroina è di 22,5 miliardi di euro all’anno. La maggior parte, 12 miliardi, riguarda la cocaina. E invece il danno al mercato che si fa con i sequestri è minimo: meno dell’1% in termini di valore, e il 20% in termini di quantità per la cannabis, comprese le piante. Da uno studio incrociato di Trasparency international e dell’Onu su sei Paesi occidentali, si vede che gli introiti del narcotraffico vanno di pari passo alla corruzione del Paese. Rispetto agli altri, il guadagno del mercato delle droghe pro capite sulla popolazione residente è molto più alto in Italia, come anche la corruzione.