Israele riaprirà regolarmente le sue scuole il primo settembre. Lo ha deciso domenica sera il governo Bennett dopo settimane di esitazioni, superando il timore di un probabile aumento dei positivi al coronavirus paventato in modo particolare dalla ministra dell’istruzione Yifat Shasha-Biton. Si sono astenuti al momento del voto il ministro degli interni Ayelet Shaked e il ministro della pubblica sicurezza Omer Bar-Lev, convinti che sia «troppo pericoloso aprire le scuole a settembre» e che occorra più tempo per vaccinarsi. Preoccupazioni fondate, almeno leggendo gli ultimi dati. Nell’ultima settimana i morti sono stati 198, di cui 40 nel weekend, mentre nell’intero mese di giugno i decessi erano stati solo sette. Il numero dei pazienti gravi si attesta a 670 di cui 111 assistiti da respiratori. Sono 12mila gli studenti e 1.300 gli insegnanti rimasti contagiati da quando Israele, circa due mesi fa, è stato investito da una nuova ondata della pandemia causata dalla variante Delta malgrado la massiccia campagna vaccinale che nei primi mesi dell’anno aveva immunizzato oltre il 60% della popolazione. Tuttavia, si tratta di una riapertura delle scuole solo parziale perché a settembre, in occasione delle festività ebraiche (Capodanno, Kippur e Sukkot), le aule accoglieranno studenti e insegnanti solo per pochissimi giorni.

Il governo ha stabilito che il personale scolastico dovrà essere provvisto di green pass, per certificare l’avvenuta vaccinazione o un tampone negativo recente. Domenica ha segnato anche il primo giorno dei test sierologici a livello nazionale per i bambini di età compresa tra 3 e 12 anni, condotti dalle forze armate in più di 400 località in tutto il paese. Coloro che avranno anticorpi alti eviteranno la quarantena nell’eventualità di casi positivi in classe. Nelle «località rosse» con livelli elevati di contagio si farà lezione in presenza solo se il 70% degli allievi della classe sarà vaccinato. La partenza dei test sierologici non è stata delle migliori. Molti genitori si sono lamentati di lunghe file, sovraffollamento e lunghe attese prima di ricevere i risultati dei test mentre il sistema di registrazione online si è schiantato costringendo i soldati a scrivere manualmente i dati dei bambini.

Prosegue nel frattempo la campagna della terza dose del vaccino già somministrata a 1,4 milioni di israeliani over 40. Il governo spera che le dosi di richiamo possano fermare l’aumento sia dei contagi che dei casi gravi di Covid e scongiurare misure drastiche, incluso un quarto lockdown nazionale. Secondo i dati del ministero della sanità la terza dose di vaccino avrebbe migliorato «in maniera significativa» la protezione dall’infezione da covid e dalla malattia grave tra gli over 60. In base ai numeri tra le persone over 60, ed oltre, la protezione contro l’infezione a 10 giorni dalla terza dose è stata di 4 volte più alta rispetto a 2 dosi. Inoltre, la stessa ha consentito una protezione 10 volte maggiore contro la malattia grave e l’ospedalizzazione rispetto alle 2 dosi. Finora 5.900.077 israeliani hanno ricevuto una dose del vaccino e di questi 5.445.567 hanno ricevuto due dosi. Negli ultimi giorni hanno scelto di vaccinarsi anche decine di migliaia di arabo israeliani e di ebrei haredim (ultraortodossi), due segmenti della popolazione sino ad oggi scettici nei confronti della vaccinazione.

Mentre in Israele si studiano i primi risultati della terza dose, gran parte dei palestinesi in Cisgiordania e Gaza non hanno neppure ricevuto la prima per mancanza di vaccini. Sono 712.501 su cinque milioni gli abitanti dei Territori occupati che hanno ricevuto almeno una dose, di cui solo 439.024 hanno completato l’immunizzazione. Ieri la ministra della salute Mai Al Kaila ha riferito di altri 5 decessi e 1.366 nuovi contagi. 32 pazienti sono in terapia intensiva, di cui 7 collegati a respiratori.