Guanti e mascherina obbligatori e di uso strettamente personale, preghiere che non devono durare più di mezz’ora, luoghi sacri sanificati con regolarità, nessuna condivisione di cibo e bevande, disinfettanti per le mani a disposizione dei fedeli.

Sono le nuove regole per entrare in moschea nelle 132 divisioni amministrative della Repubblica islamica dell’Iran dove l’incidenza del Covid-19 è minore e per questo sono colorate di bianco sulla cartina geografica.

Si torna così – nel mese di Ramadan – alla preghiera comunitaria in un terzo delle moschee, anche se il Paese è tra i maggiormente colpiti dalla pandemia e le cifre di contagi e morti sono in risalita: salgono a 98.647 i casi, con 1.223 nuovi contagi registrati nelle ultime 24 ore; le nuove vittime sono 74 (domenica erano 47, il numero più basso degli ultimi 55 giorni), per un totale di 6.277 decessi confermati; i malati in gravi condizioni scendono a 2.676, mentre i guariti crescono a 79.379; il totale dei test effettuati ammonta a 508.288.

Cifre probabilmente più basse rispetto alla realtà. In ogni caso l’emergenza sanitaria si è acuita a causa della mancanza di medicinali motivata dalle sanzioni statunitensi rinnovate nel 2018. I beni umanitari dovrebbero essere esenti, in particolare i farmaci e il materiale medicale, ma le banche occidentali non accettano di effettuare transazioni per timore di finire nel meccanismo sanzionatorio del Tesoro Usa.

A questo proposito, intervenendo in videoconferenza al diciottesimo vertice del Movimento dei Paesi non allineati, ieri il presidente iraniano Rohani osservava che «l’esperienza globale nella lotta al Covid-19 ha mostrato quanto una malattia contagiosa possa minacciare tutti i Paesi del mondo, a prescindere da confini, nazionalità o razze, e mettere a rischio la salute di ogni persona nel mondo. Come altri Paesi, l’Iran sta cercando di garantirsi il proprio fabbisogno di medicine e strumenti in base alle esigenze sanitarie, ma a causa delle illegali sanzioni statunitensi le compagnie che li producono non possono offrire i loro prodotti all’Iran quando ne ha bisogno».

E ha aggiunto: «La risposta frettolosa e irresponsabile del governo degli Stati uniti di togliere i fondi all’Oms deve essere vista come un altro errore strategico che ostacola la lotta globale al coronavirus», sottolineando che la Repubblica islamica è «pronta a cooperare con tutti i Paesi per sviluppare un vaccino».

È questo il contesto in cui ieri mattina il parlamento di Teheran ha approvato, su proposta dell’esecutivo, una legge per sostituire la valuta nazionale (il rial) con il toman. L’iniziativa era già stata avanzata dal governo dell’ultraconservatore Ahmadinejad nel 2008 e poi ancora dall’esecutivo di Rohani nel dicembre 2016, ma la sua attuazione era stata rimandata per i rischi legati all’inflazione e all’instabilità economica.

In realtà il toman è già in uso nella vita quotidiana degli iraniani perché è un multiplo del rial: da decenni la popolazione utilizza il termine toman nelle transazioni per indicare un importo pari a 10 rial.

Con la nuova legge, diecimila rial avranno il valore di un toman. Dopotutto, in turco toman vuol dire dieci migliaia ed era questa la valuta in vigore in Persia fino al 1932, quando fu sostituito dal rial con un rapporto di un toman uguale dieci rial. Se la legge sarà ratificata dal Consiglio dei Guardiani (i dodici giuristi che valutano l’aderenza delle leggi promulgate dal parlamento all’Islam e alla Costituzione), sarà previsto un periodo di transizione di due anni per sostituire le monete e banconote di rial ancora in circolazione.

Un’iniziativa che dovrebbe semplificare le transazioni giornaliere, evitando di contare e trasportare grandi volumi di denaro. Le autorità sperano di ridurre gli effetti psicologici dell’aumento dell’inflazione ma a molti questa iniziativa fa paura: darà l’impressione di un abbassamento dei prezzi laddove invece la vita è sempre più cara.