«Simbolo di queste ultime proteste in Iran è una giovane donna a capo scoperto, il velo issato su un bastone, ma quell’immagine è antecedente e non c’entra nulla! Si riferisce alla protesta del mercoledì contro l’obbligo del velo: una di loro si toglie il velo in strada, di mercoledì, e lo sventola. Nelle proteste in atto da fine dicembre gli iraniani si lamentano invece contro il carovita», osserva l’iranista e islamologa Anna Vanzan, docente alla Statale di Milano e all’Università di Pavia.

La protesta del mercoledì rientra nella campagna Stealthy Freedom lanciata su Facebook nel 2014 da Masih Alinejad che vive a New York. Quale impatto ha questa campagna in Iran?
Ho sentito più critiche che lodi, molte l’hanno criticata perché quella del velo non è la campagna prioritaria per le iraniane.

In quale misura le donne stanno partecipando alle proteste?
Protestano accanto agli uomini, ma nei primissimi giorni erano meno visibili perché a scendere in piazza erano soprattutto alcune categorie di lavoratori. La protesta si è poi allargata e la presenza femminile è diventata più cospicua.

Per quale motivo le iraniane protestano?
Innanzitutto per gli stessi motivi per cui protestano gli uomini: carovita, disoccupazione, iniqua distribuzione delle ricchezze, mancato riconoscimento di alcuni diritti fondamentali. In più, le donne lamentano un diritto di famiglia loro sfavorevole nonché l’obbligo del codice vestiario negli spazi pubblici.

Nel 2017 lei ha vinto il premio alla carriera per la diffusione della cultura persiana in Italia, l’ultimo romanzo che ha tradotto è «A Tehran anche le lumache fanno rumore» di Zahra ‘Abdi (Brioschi, Milano). Come vivono le proteste le scrittrici con cui è in contatto?
C’è molta ritrosia a parlare e non solo per paura di possibili ritorsioni: le scrittrici iraniane (e le artiste in genere) spesso lamentano di venire interpellate su aspetti politici anziché sulla loro attività, vogliono essere considerate artiste tout court.

Lei conosce bene l’Iran ed è autrice di numerosi volumi, l’ultimo è «Diario Persiano, viaggi sentimentale in Iran (Il Mulino). L’obiettivo dei manifestanti è il cambio di regime?
È utopistico, vogliono riforme.

Tra i tanti slogan, alcuni sono a favore della dinastia Pahlavi: c’è qualche possibilità che l’erede al trono torni in Iran e il paese si trasformi in monarchia costituzionale?
Nello scontento c’è sempre chi rimpiange il passato. Nel futuro dell’Iran potrebbe esserci un re, ma auguro agli iraniani non sia il pretendente Pahlavi, basta sentirlo parlare per capirne la pochezza.

Al tempo della monarchia le donne avevano maggiori diritti?
La questione è controversa: è vero che nell’ultimo codice di famiglia varato prima della Rivoluzione del ’79 godevano di maggiori diritti, ma è altresì vero che di quelle riforme potevano fruire solo pochissime donne, a causa soprattutto della scarsa istruzione e dell’accessibilità alle strutture.

In un’intervista a un quotidiano di proprietà saudita, il Nobel per la pace Shirin Ebadi ha invitato i suoi concittadini alla disobbedienza civile chiedendo di non pagare le bollette e di ritirare i depositi bancari per mettere in difficoltà il presidente. Che ne pensa?
Questo tipo di disobbedienza civile mi sembra inefficace, meglio un pressing sul presidente Rohani: costringerlo a mantenere le promesse, incoraggiarlo a promuovere la cultura della protesta come ha fatto in questi giorni, sostenerlo contro le ali più oltranziste.

Il presidente statunitense Trump ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di esprimersi sulle proteste iraniane, e questa mossa è stata percepita come un’ingerenza negli affari interni della Repubblica islamica. Di pari passo, Trump ha approvate nuove sanzioni a cinque società iraniane. A metà gennaio, probabilmente decertificherà l’accordo nucleare: in quale direzione sta andando la politica estera americana?
Nella peggiore direzione possibile: l’amministrazione Trump ha bandito i cittadini musulmani inclusi gli iraniani, sta smantellando l’accordo internazionale sul nucleare, tace sulla tragedia in Yemen, continua la demenziale alleanza con l’Arabia Saudita… non ultimo parla di rinominare il Golfo Persico «Golfo Arabo», il che fa indignare tutti gli iraniani, compresi quelli all’opposizione.

C’è il rischio di un nuovo conflitto mediorientale?
Da anni Iran e Arabia Saudita si fanno la guerra, per procura, in Siria, Iraq, Yemen. La protesta iraniana contro la politica estera del loro governo è anche frutto della morsa della guerra che essi sentono vicina sia economicamente (per gli aiuti iraniani alle forze siriane, irachene e yemenite) sia in materia di sicurezza. L’attentato del giugno scorso al Parlamento iraniano e alla tomba dell’Ayatollah Khomeini ha profondamente scosso gli iraniani, che si pensavano immuni al terrore che li circonda.

Quale dovrebbe essere la posizione della Ue per evitare la guerra che si profila all’orizzonte?
Insistere sul programma del nucleare, non solo perché serva alle aziende europee per espandersi in Iran, ma per impegnare le autorità iraniane nel rispetto dei diritti dei loro cittadini.