Almeno apparentemente è tornata la calma a Wamena e a Jayapaura, le due città della maggiore delle due province indonesiane di Papua (situate nell’area occidentale dell’isola della Nuova Guinea) che lunedì sono state attraversate da violente proteste che hanno portato a un bilancio che – ieri sera – era di 27 vittime ma che le autorità non considerano per niente definitivo.

Già scatenata da violente dimostrazioni nell’agosto scorso in seguito a episodi razzisti contro giovani papuasi che si trovavano per studio a Giava, sede della capitale Giacarta, la tensione è tornata a salire quando si sono diffuse voci che un insegnante della locale scuola superiore Yaspin avesse fatto dichiarazione razziste contro i papuasi che, contrariamente alla maggioranza degli indonesiani, sono di pelle nera. Bufala o meno, come sostiene la polizia locale, la gente è scesa in piazza a Wamena e ha iniziato a dare alle fiamme edifici governativi e negozi.

UNA RABBIA CHE HA RICORDATO le proteste di agosto quando – dopo gli episodi razzisti avvenuti nella città giavanese di Surabaya, – si era scatenata una protesta che – al grido di «non siamo scimmie» – ha visto dar fuoco anche al parlamento di Manokwari, capitale della Papua occidentale, la provincia confinante che invece questa volta è rimasta tranquilla. A Wamena, capoluogo della reggenza di Jayawijaya, si è invece scatenato l’inferno e il numero di vittime lo conferma. Quanto ciò si debba, come dice la polizia, al fatto che molti sono rimasti intrappolati negli edifici dati alle fiamme e quanto invece si debba alla reazione delle forze di sicurezza resta da accertare. Certo è che la polizia ha arrestato oltre 700 persone, anche se molte sono poi state rilasciate.

POICHÉ, SECONDO LE AUTORITÀ di polizia, la voce sui commenti razzisti sarebbe stata diffusa ad arte dal Comitato nazionale per la Papua occidentale (Knpb), un’organizzazione non violenta che fa campagna per un referendum che consenta l’autodeterminazione e una possibile secessione dall’Indonesia, le forze di sicurezza ritengono che il gruppo sia responsabile degli incidenti. Ma anche su questo c’è da andar cauti visti i precedenti che costellano di violenze e menzogne i rapporti tra Giacarta e i papuasi sin dal referendum del 1969 che, con l’inganno, fece accettare a un pugno di leader comunitari l’annessione all’Indonesia dell’ex colonia olandese: tanto “primitiva” quanto ricca di minerali preziosi. Secondo la polizia l’organizzazione indipendentista voleva attirare l’attenzione dell’Assemblea dell’Onu riunita a New York sulla causa indipendentista.

MA NEL LUNEDÌ NERO di questa settimana, mentre Wamena bruciava, un altro episodio ha infiammato gli animi a Jayapura, la capitale provinciale. In un incidente vicino al Waena Expo Cultural Park di Jayapura – riferisce il Jakarta Globe – un soldato e tre studenti sono stati uccisi, mentre altre 27 persone, tra cui sette poliziotti, sono state ferite. La versione ufficiale dice che una folla di studenti avrebbe attaccato un soldato e agenti di polizia con machete e pietre. I soldati hanno risposto sparando.

La calma potrebbe adesso essere solo apparente poiché le braci di una rabbia antigiavanese e anti indonesiana sono antiche. Le cause risalgono all’annessione e in seguito Giava si è comportata come l’Olanda facendo di Papua una sua colonia e rilasciando concessioni a multinazionali per l’estrazione dei minerali. Allo sfruttamento si è poi sommato il razzismo, alimentato dalle correnti iper nazionaliste e identitarie che agitano uno Stato insulare che da sempre teme le spinte centrifughe.