Il 2 gennaio 2020, il National Crime Record Bureau (Ncrb) della Federazione indiana rendeva noto il numero di agricoltori e braccianti suicidatisi nel 2017: ben 10.655, fra i quali 480 donne. La rivista ecologista Down to Earth precisava che, comunque, negli anni precedenti era stato anche peggio: nel 2016 si erano tolte la vita nei campi ben 11379 persone, nel 2015 erano state 12602.

Questa triste conta dei morti ha registrato 200 mila vittime in un trentennio. Le cause? Indebitamento e fallimenti, perdita dei raccolti, problemi familiari, malattie e dipendenze. Secondo uno studio statunitense pubblicato nel 2017 su Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences), i soli cambiamenti climatici e i loro effetti devastanti sull’agricoltura avrebbero causato, in questi ultimi trent’anni, il suicidio di almeno 60 mila agricoltori e braccianti indiani ridotti allo stremo. Durante la grande siccità di tre anni or sono, i contadini del Tamil Nadu protestarono per cento giorni avanzando richieste precise: prezzi migliori per i loro prodotti, progetti idrici, assicurazioni sui raccolti, cancellazione dei debiti inesigibili. E… la pensione di vecchiaia «anche per non è solo al mondo».

E adesso? Le misure di contenimento (un inedito lockdown) introdotte il 27 marzo dal governo di New Delhi per prevenire la diffusione del Covid-19 – sono state da poco prorogate – coincidono con un momento critico della stagione agricola: il raccolto e la preparazione per le nuove semine. Ovviamente il settore agroalimentare, il più essenziale di tutti, è esentato dal blocco delle attività. Ma, su quel 43% della popolazione attiva indiana che lavora nei campi – quasi 300 milioni di persone – pende ugualmente l spada di Damocle. Manca la manodopera per la raccolta, soprattutto in Stati come Haryana e Punjab che dipendono da lavoratori stagionali di altri Stati come Uttar Pradesh e Bihar. Scarseggiano anche i trasporti verso i luoghi di commercializzazione e consumo. E infine i prezzi sono scesi per la riduzione della domanda. L’ortofrutta conosce un problema in più, spiegano alcuni contadini ai giornalisti: «La gente non si fida, teme che frutti e ortaggi siano passati per troppe mani infette».
Chi riesce a raccogliere regala le derrate deperibili a centri di soccorso ai bisognosi, o le dà agli animali. E i suicidi «da lockdown» sono già lì, anche se per ora sono pochi i casi registrati. Ad esempio Gandaghar, in Karnataka, si è impiccato per il mancato raccolto dopo essersi indebitato per scavare due nuovi pozzi.

Non dovrebbero esserci ripercussioni sulla sicurezza alimentare del paese: l’India ha grossi stock di frumento e riso, funzionali anche ai programmi di distribuzione alimentare agli indigenti. Ma il mondo rurale rischia grosso. Fortunatamente alcuni Stati stanno incrementando l’acquisto diretto dagli agricoltori. Lo fa, fra gli altri, il Kerala per il suo programma di distribuzione a domicilio di alimenti (con attenzione agli aspetti nutrizionali) a oltre 8 milioni di persone in difficoltà. Una fornitura alimentare universale che dovrebbe estendersi, auspicano gli esperti, a tutta l’India.

E a riprova della resilienza contadina, ecco il caso del villaggio Ajuni, nel Chattisgarh: siccome scarseggia anche il lavoro offerto dal programma Mahatma Gandhi National Employment Guarantee Act (Mgnrega, nato nel 2005 per garantire al mondo rurale un minimo di giornate lavorative pagate), donne e uomini si sono dati alla raccolta del fiore selvatico mahua, che una volta essiccato si vende bene per le sue proprietà medicinali. Ma anche per farne liquori. Una delle cause di suicidi nelle campagne.