Julian Assange dovrà aspettare l’anno prossimo per conoscere il parere della corte sulla richiesta, avanzata da un tribunale della Virginia, della sua estradizione negli Usa. Il prossimo 25 febbraio 2020 comincerà l’udienza, della durata di circa cinque giorni, che produrrà il verdetto. È la decisione presa dal tribunale di Londra dopo che giovedì il ministro dell’Interno Javid aveva firmato detta richiesta.

ASSANGE, COLLEGATO IN VIDEO dalla casa di reclusione di Belmarsh per motivi di salute, ha detto «sono in gioco 175 anni della mia vita» e che «WikiLeaks non è altro che una casa editrice». Il giornalista australiano, fondatore di WikiLeaks, è ora incarcerato dopo esser stato trascinato di peso fuori dall’ambasciata ecuadoriana a Knightsbridge lo scorso 11 aprile, ponendo fine a un asilo di sette anni nei pochi metri quadrati della sede diplomatica londinese.

Vi si era rifugiato per evitare l’estradizione in Svezia, dove pesa su di lui un’accusa di stupro e da dove lui era sicuro sarebbe stato consegnato agli americani.

Ieri, davanti al tribunale, un gruppo di suoi sostenitori con cartelli e striscioni cantava slogan contro l’«assalto alla libertà di stampa, alla libertà e alla democrazia».

Assange è ovviamente un eroe per chi crede nella libertà d’informazione in un regime pseudolibero come quello dell’informational society ma è anche detestato da buona parte dalla destra repubblicana e democratica americane. È accusato dalle autorità statunitensi di aver violato l’Espionage Act attraverso «una delle più vaste compromissioni d’informazioni confidenziali nella storia degli Stati uniti» con la collaborazione di Chelsea Manning e attraverso il cracking di una password del Pentagono.

«PUBBLICANDO QUEL MATERIALE grezzo in internet ha creato il rischio grave e imminente che fonti umane d’intelligence, compresi giornalisti, difensori dei diritti umani e attivisti politici, soffrissero seria violenza fisica o detenzione arbitraria», si legge nel testo dell’accusa.

Il team legale dell’imputato ha ribattuto definendo la richiesta di estradizione «un assalto pienamente frontale e oltraggioso al diritto giornalistico». Assange rischia grosso se estradato, processato e condannato per tradimento in quello che preannuncia come un processo farsa e ora molto dipende dal suo titolo di giornalista. Che potrebbe salvarlo, giacché il testo dell’Espionage Act tutela fino a un certo punto la libertà giornalistica. Per questo i suoi accusatori cercano di privarlo di tale qualifica.

CON WIKILEAKS, MANNING e Assange non solo hanno gettato luce sulle sporche invasioni di Iraq e Afghanistan – oltre a mostrare l’agghiacciante assassinio «collaterale» di innocenti civili durante un’azione militare – hanno anche fatto inferocire il partito democratico e tutta la galassia liberal per la pubblicazione delle email di Hillary Clinton ai danni della candidatura di Bernie Sanders, che avrebbero finito per favorire indirettamente l’elezione di Trump alla Casa bianca.

Si spiega così l’accanimento verso quest’uomo, che sarebbe ridotto al lumicino delle proprie facoltà – un «rottame psicologico», nella definizione del suo avvocato, Assange sarebbe incoerente e incapace di esprimersi in maniera comprensibile – quando già un esperto dell’Onu aveva già a fine maggio scorso denunciato il suo essere stato soggetto a una «prolungata esposizione a torture psicologiche». In questa chiave va anche letta la messinscena della sua rimozione dall’ambasciata come un trofeo di caccia, un altro espediente per minarne quella che finora è stata l’impressionante risolutezza.