Un confronto decisamente austero, ma nel quale i due sfidanti sono apparsi talmente vicini quanto a visioni e proposte, da far pensare che il modello della Grosse Koalition tra democristiani e socialdemocratici che già guida il paese da tempo, sia destinato a perpetuarsi.

Se in occasione del primo, e unico, duello televisivo tra la cancelliera Angela Merkel e lo sfidante dell’Spd, Martin Schulz, previsto da qui alle elezioni politiche federali del 24 settembre e andato in onda domenica sera sulle quattro principali emittenti tv del paese, ha finito per prevalere «Mutti» Merkel, la «mamma» come era stata soprannominata dai suoi rivali di partito prima che il suo stile senza fronzoli si rivelasse una carta vincente nei confronti dell’elettorato, anche l’esito del voto appare del resto già scontato con l’alleanza di centrodestra di Cdu e Csu accreditata sul 38/39% dei consensi e i socialdemocratici fermi al 22/24%.

Progressivamente svanito con il passare dei mesi l’iniziale «effetto Schulz», l’ipotesi che il leader della Spd fosse perlomeno in grado di contenere l’emorragia di consensi con una linea «di sinistra», anche il confronto tv con Merkel ha evidenziato tutt’altro che una volontà di opposizione.

Anzi, a più riprese, i due candidati si sono sorpresi ad accompagnare affermativamente con il capo le parole del rivale. A volte si è sfiorato perfino il paradosso, come quando Schulz – quasi le parti tra destra e sinistra si fossero improvvisamente invertite – ha accusato Merkel di non aver coinvolto adeguatamente gli altri paesi della Ue prima di decidere, nel 2015, di accogliere circa un milione di migranti.

L’unico sprazzo positivo per il candidato socialdemocratico è arrivato quando ha accusato la cancelliera di non avere fatto nulla per evitare l’aumento delle disuguaglianze sociali nel paese. Peccato che in larga misura le scelte dell’esecutivo siano state condivise anche dai ministri dell’Spd.

Perfino su uno dei dossier più caldi che c’erano sul piatto, quello dei rapporti con la Turchia, con Erdogan che soffia sul fuoco invitando i suoi concittadini che vivono in Germania a non votare, mentre ben 12 cittadini tedeschi sono stati arrestati con diverse accuse negli ultimi tempi dalle autorità turche, Schulz e Merkel hanno di fatto convenuto di essere entrambi contrari anche alla sola ipotesi di un’entrata di Ankara nell’Unione Europea.

Se il confronto televisivo sembra perciò aver spostato poco quanto alle intenzioni di voto, per i socialdemocratici non resta che sperare nella cospicua fetta di indecisi, che una recente inchiesta pubblicata sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung ha stimato in oltre il 46 % del corpo elettorale.

Proprio da questo ampio bacino spera di trarre nuovi consensi anche l’Alternative für Deutschland, la nuova destra xenofoba tedesca che a quattro anni dalla sua fondazione è già entrato in diversi parlamenti regionali, oltre che in quello di Bruxelles, e scommette di poter diventare la terza forza politica del Bundestag, superando Liberali, Verdi e Die Linke, grazie alle percentuali tra l’8 e il 10% che le assegnano alcuni sondaggi.

Scosso da aspre lotte intestine, l’AfD ha perso un po’ del suo sinistro smalto, ma continua a dar voce, specie nelle regioni orientali e radicalizzando sempre più il suo vocabolario, ad una parte di opinione pubblica pronta ad attribuire ai migranti, e soprattutto ai musulmani, la responsabilità della crisi sociale, la minaccia del terrorismo e una presunta «perdità di identità» della Germania.

Ad esempio, nel corso di un comizio in Turingia, Alexander Gauland, un ex membro della Cdu ora candidato alla Cancelleria per il partito guidato da Frauke Petry, ha invitato la ministra all’Integrazione Aydan Özoguz, vice-presidente dell’Spd e figlia di immigrati turchi che si era detta scettica sul fatto che esista «una specifica identità tedesca», a «fare al più presto le valigie e tornarsene in Anatolia».

L’uomo, i cui propositi razzisti sono stati condannati da tutti gli altri partiti, è un recidivo: lo scorso anno aveva già suscitato polemiche dichiarando che non avrebbe voluto come vicini di casa «gente come Jerome Boateng», il difensore del Bayern Monaco e della nazionale tedesca, figlio di una berlinese e di un immigrato del Ghana.