I turni elettorali prima della Georgia e poi dell’Armenia consegnano un quadro della regione caucasica segnato dal profondo rinnovamento del personale politico guidato da una stella polare che si potrebbe sintetizzare in «Verso l’occidente ma con discernimento».

Domenica in Armenia il blocco di 9 partiti che sostengono il premier in carica Nikol Pashinyan ha ottenuto una netta e scontata vittoria alle parlamentari con uno squillante 70,4% dei voti. È l’istituzionalizzazione e la ratifica di quella rivoluzione di «velluto» che condusse Pashinyan al potere nel maggio di quest’anno, dopo decenni di dominio del Partito repubblicano, dominato ormai da corruzione e clientele.

Esce tristemente di scena con il 3,9% il socialdemocratico Dashnak (storico partito armeno fondato nel 1890), punito per la collaborazione con il regime precedente. La linea del nuovo governo resta quella di un cauto avvicinamento alla Ue, riduzione del tasse, della corruzione e sostegno al piccolo business.

Nelle prime dichiarazioni post-voto il premier ha voluto tranquillizzare ancora una volta il «grande fratello»: «Il mio paese non entrerà nella Nato». Una posizione da tempo nota che conferma la partecipazione all’alleanza militare con Mosca sia per quanto riguarda la ferita ancora aperta con l’Azerbaigian nel Nagorno-Karabach, sia per la presenza della base militare russa a Gyumri, al confine con la Turchia.

Confermata anche la mano tesa a Erdogan con l’obiettivo di migliorare le relazioni di vicinato con Ankara: «La questione del genocidio armeno non è discriminante al fine della normalizzazione dei rapporti», ha dichiarato Pashinyan. Posizioni realistiche e moderate che piacciono a Putin, chee qualche mese fa a Mosca, incontrando il leader armeno, ha garantito che continuerà a fornirgli gas a prezzi di discount.

Un gas russo a cui piacerebbe attingere anche a Salome Zurabishvili, eletta il 29 novembre presidentessa della Georgia. L’elezione per la prima volta di una donna al vertice dello Stato in un Paese ex-sovietico conferma gli enormi progressi del paese in tema di diritti civili, ma non è il solo forte segnale del nuovo corso di Tblisi.

Zurabishvili, nata a Parigi, si è formata nelle écoles diplomatiche francesi e ha servito l’Eliseo come funzionaria Onu, ambasciatrice e funzionaria agli Esteri prima di prendere anche il passaporto georgiano. La sua solida formazione le ha permesso nel ballottaggio di superare con il 57% dei voti l’aggressivo candidato populista sostenuto dall’ex-presidente Misha Saakashivili che l’accusava di essere «serva di Mosca».

In realtà il nuovo presidente pur non avendo intenzione di abbandonare il suo orientamento filo-occidentale ha sin troppo chiari gli equilibri nella regione. Per questo ha lanciato da tempo segnali al Cremlino per «rilanciare il dialogo tra i due paesi» anche se l’ipotesi di una sistemazione delle questioni dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia appaiono ancora molto lontane.