Sofisticata commedia rivelatrice di un cambiamento dei costumi è il film francese L’arte della fuga di Brice Cauvin, dal 31 maggio nelle sale, dopo essere stata campione di incassi in Francia (distribuisce Kitchenfilm). Tanti possibili modelli di famiglia, di convivenza, di fragili incontri che spesso caratterizzano le coppie sono sintetizzati nei rapporti costruiti da tre fratelli. Una nuova leva di attori francesi dà corpo ai personaggi e una serie di capovolgimenti a prima vista non così plateali si susseguono minando le costanti dei racconti cinematografici a cui siamo abituati: la coppia omosessuale non è più quella di contorno ma protagonista e centrale, le considerazioni che analizzano i sentimenti vengono fatte sorprendentemente da uomini, normalmente sbrigativi in fatto di analisi e le donne sono tenute piuttosto ai margini del racconto. La rivoluzione epocale scombina i tanti stereotipi che ci sono stati trasmessi e investe perfino il modello principale, la coppia dei genitori, relegati in un passato un po’ polveroso, nella cornice di un negozio di abbigliamento vecchio stile. Antoine (Laurent Lafitte della Comédie française) vive con Adar un rapporto consolidato, Louis (Nicholas Bedos) un tipo quadrato ha incontrato a Bruxelles dove lavora un’altra ragazza (Irène Jacob) che gli ha fatto dimenticare la fidanzata storica alla vigilia del matrimonio, Gérad (Benjamin Biolay) è in disperata attesa di divorzio ma incontrerà Ariel l’amica del cuore di Antoine, interpretata da Agnès Jaoui, la famosa attrice e regista che ha collezionato numerosi premi César ed è specialista nei suoi film a tessere amare considerazioni sui rapporti sentimentali.
Il film che marca stretto i suoi interpreti in una inarrestabile successione di eventi, mette in piena luce gli interpreti con l’esperienza di regista teatrale di Cauvin qui al suo secondo lungometraggio. Del resto è una caratteristica del cinema francese mettere in luce i giovani e non dimenticare le celebrità: qui Marie Christine Barrault nel ruolo della madre incalzante e Guy Marchand dalla infinita carriera, nei panni del padre che cerca insistentemente di tenere la famiglia in bell’ordine borghese.
Ma i tempi sono cambiati e le vie di fuga si fanno sempre più numerose con matrimoni che saltano e nuove esperienze da provare, una intricata geometria di sopravvivenza. La famiglia tradizionale insomma è finita e forse era finita anche quando sembrava in perfetta forma.
Il film è tratto da un romanzo di Stephen McCauley, ispirato quindi a quella società nordamericana che conosciamo così bene attraverso il cinema. Ha dovuto apportare molti cambiamenti?
Il primo festival a cui abbiamo partecipato è stato quello di San Francisco dove tutti ci chiedevano perché ci eravamo ispirati a un romanzo americano e non avevamo cercato tra i romanzi francesi. Ma visto che gli americani adattano sempre film europei mi sembrava anche giusto. Ho adattato il romanzo alla cultura francese: ad esempio gli americani sono più diretti: usano l’espressione «I want to change my life», voglio cambiare la mia vita in modo troppo diretto, cosa che un francese non userebbe mai, si esprimerebbe in maniera più allusiva.
La costruzione del film evoca un modello musicale
Costruisco sempre i film a partire dai personaggi e lo costruisco come un progetto musicale: dirigo come un direttore d’orchestra e d’altra parte lo stesso titolo si riferisce alla «fuga» che è anche un termine musicale. Il compositore ha scritto variazioni da Bach e da Ravel un compositore a cui sono molto vicino e che meglio di tutti dipinge la malinconia (Malinconia potrebbe essere un altro titolo del film)
I genitori sembrano essere uno specchio delle famiglie europee
Il soggettto principale del film è una famiglia. La famiglia risponde solo alla logica affettiva e a nessun’altra logica: il film racconta come la famiglia può essere rifugio e anche fonte di violenza estrema. I personaggi dicono delle cose e poi fanno cose completamente diverse, esprimono un insieme di contraddizioni e paradossi. Marie Christine Barrault è un’attrice kamikaze, potete chiederle qualunque cosa e la farà, Guy Marquand gioca sulle contraddizioni. Poi ho cercato giovani attori che fossero credibili come loro figli, attori con cui potessi avere il tempo della preparazione perché ci fosse intesa.
Poi c’è il personaggio interpretato da Agnès Jaoui, anche lei regista e sceneggiatrice oltre che attrice
La conosco da più di quindici anni, parliamo spesso di letteratura e cercavamo un libro da adattare.Nel libro di McCauley ho visto che c’era un bel personaggio per lei. Come attrice è generosa e coraggiosa, prende molti rischi. Siccome è anche regista sa che il cammino di un film è lungo e che attraverso i rischi si può arrivare all’obiettivo.
Nel film i personaggi maschili fanno continue riflessioni e analisi sui sentimenti, mentre di solito questa è una specialità tutta femminile, un interessante capovolgimento.
Il mio film è dedicato alle mie tre sorelle, anche se il film non è autobiografico in qualche modo ne sarò rimasto influenzato. Anche gli uomini sono sensibili, il sentimento non è appannaggio delle donne