Nella finestra di cielo sopra il centro civico di via Buranello si alternano in maniera schizofrenica un sole che spacca le pietre e nubi che scaricano pioggia. Oltre a un elicottero dei carabinieri, che vola basso verso quello che è rimasto di ponte Morandi. Decine di cittadini, gli sfollati a causa del crollo, guardano in alto, in ansia. Sperano che chi è a bordo di quell’elicottero stia cercando di capire se ci sia il rischio effettivo di un cedimento del moncone di viadotto lato est, quello che incombe sulle case dalle quali sono stati evacuati. Scopriranno più tardi che il velivolo trasporta giornalisti tv.

Nelle ultime ore hanno iniziato a sentirsi inquietanti scricchiolii. Così li hanno definiti gli stessi residenti, e bisognerebbe coniare una parola nuova per indicare il lamento del mostro brutalista squarciato in due. E mentre la zona rossa di via Fillak, sempre più un quartiere fantasma, torna inaccessibile persino ai mezzi di soccorso – figurarsi ai residenti che vogliono recuperare i loro oggetti personali – gli sfollati si preparano a conoscere quale sarà il loro destino, a partire dalla graduatoria stilata dal Comune. Gli alloggi a disposizione saranno assegnati attraverso un algoritmo. «Io sono al 232, tu papà?» dice Alessandro Tramontano, uno degli inquilini. Il padre, pensionato, è messo meglio: «140 – risponde – ma non ce li possiamo neppure giocare al lotto questi numeri». Ci sono oltre 300 famiglie da sistemare: prima sarà il turno di quelle dove sono presenti disabili e bambini in età scolare, poi gli anziani, poi tutti gli altri. L’accesso al centro civico, dove la notte prima hanno dormito ancora cinque persone (erano appena tornati dalle ferie e si sono trovati senza un posto dove stare) è regolato come in una caserma. O al bancone di un supermercato. Vengono forniti biglietti con numeri progressivi per organizzare le comunicazioni, ma l’atmosfera si scalda.

I cittadini vogliono sapere tutto e subito. L’assessore al Bilancio del Comune di Genova, Pietro Piciocchi, un uomo alto più di due metri, si piazza al centro della folla e come un megafono umano ragguaglia i presenti con alcune informazioni. In diversi lo riprendono con il telefonino perché «non si sa mai».

L’amministrazione, attraverso fondi che Autostrade metterà a disposizione, pagherà gli alloggi, per chi sceglierà di aspettare il proprio turno, gli affitti (fino a 900 euro di contributo mensile) per chi proverà a trovarsi un’abitazione per conto proprio, le spese di trasloco e un bonus da 10 mila euro per chi avrà bisogno di arredare gli appartamenti. Cinque quelli disponibili da ieri nel quartiere di San Biagio, in Valpolcevera, a pochi passi da uno dei primi centri commerciali sorti a Genova. Altri 11 entro domenica. Poi i calcoli iniziano a farsi complicati, e anche la geografia: entro il 3 settembre 33 case tra le periferie di Voltri, Pegli, Bolzaneto, Molassana, Cornigliano, Sampierdarena e ancora San Biagio, 6 in piazzale Adriatico, noto alle cronache per essere fra gli spot a rischio in caso di alluvioni, e Genova ne sa qualcosa. Entro fine novembre saranno ristrutturati altri 310 alloggi.

E c’è chi, come Piero Marsala, un altro residente, si chiede: «Ma Genova non era in emergenza abitativa prima del crollo? Da dove spuntano queste case? Ci sono migliaia di cittadini in attesa di un alloggio popolare». Gli alloggi a disposizione non fanno parte dell’edilizia pubblica, ma a maggior ragione l’interrogativo resta valido. Non si pone troppe domande, invece, Fabrizio Galofaro. «La casa è un po’ più piccola di quella che avevamo, ma va bene così, sono stati bravi, si vede che il vento è davvero cambiato». Davanti alle telecamere, insieme alla moglie, e ai figli di 17, 13 anni e 3 mesi, più il cane, ringrazia i politici che gli mettono in mano le chiavi di casa. Il privato diventa pubblico durante quello che potrebbe diventare il primo di tanti, tantissimi, tagli del nastro in una Genova tutta da ricostruire anche a misura di campagna elettorale. A chi è stato colpito dalla tragedia, non interessa neppure questo.

Maurizio Intiso, «Chiamatemi Mauri», barista insieme alla moglie, ha gli occhi cerchiati da notti insonni e ricorda un’altra zona rossa «Quella del G8, e speravo di non vederne più, ma adesso non vogliamo polemiche, pensiamo solo a riprendere i nostri mobili, poi la vita andrà avanti». La graduatoria ha consegnato anche a loro il verdetto: 202. Dovranno aspettare ancora.