Il manifesto quotidiano fa la sua comparsa nel 1971. Negli stessi mesi nelle fabbriche italiane nascono i «consigli», e i loro esecutivi sostituiscono le commissioni interne nella funzione di rappresentanza delle donne e degli uomini che lavorano in quelle aziende. I componenti dei consigli vengono votati da chi lavora e poi, a loro volta, eleggono gli esecutivi che avranno il compito di rappresentare tutti negli incontri e nelle trattative con l’azienda. Si trattò di una straordinaria innovazione democratica e partecipativa nel mondo del lavoro.

In quegli anni io ero un giovane dipendente della Pirelli e lavoravo nello stabilimento di Bicocca a Milano dove si producevano cavi elettrici, pneumatici e articoli vari in gomma. In quel periodo venni eletto nel consiglio di fabbrica e poi in esecutivo. Eravamo quindici lavoratori che ne rappresentavano oltre quindicimila, il nostro mandato elettorale era di tre anni e per l’intero tempo del mandato venimmo distaccati dalla produzione per dedicarci esclusivamente all’attività sindacale che a quel tempo era molto intensa a causa dei grandi cambiamenti in corso nelle modalità di realizzazione dei prodotti.

Il nostro era un lavoro ben organizzato, caratterizzato anche da momenti di analisi e approfondimento delle cronache dei giornali.

All’ingresso al mattino presto si leggevano prioritariamente i giornali di partito per poi allargare l’analisi agli altri. Il manifesto si impose in questo rito iniziale.

La prima vivacissima disputa riguardò la presenza del nuovo giornale nel novero di quelli da leggere e commentare. Le motivazioni degli oppositori alla sua lettura erano le più disparate, quella prevalente riguardava il fatto che non era un giornale di partito. La controversia cessò per la curiosità che il giornale stimolava nei suoi oppositori e, in particolare per il livello alto dei suoi articoli.

L’effetto immediato fu quello di arricchire la nostra discussione del primo mattino.

In particolare furono due i temi generali che il manifesto contribuì a rendere più importanti di quanto non fossero oggettivamente per noi in quel tempo storico: la necessità di contrastare con tutti gli strumenti disponibili il terrorismo e la crisi industriale che indeboliva pesantemente la nostra economia.

Erano temi che coinvolgevano direttamente e drammaticamente la nostra azienda. Il quadro con il quale confrontarsi era chiaro. Molte aziende si stavano internazionalizzando, la Pirelli aveva stretto un accordo con la Dunlop che presupponeva una diversa distribuzione di attività in Europa e nel contempo crescevano i cambiamenti tecnologici che toglievano fatica al lavoro ma riducevano il numero degli addetti alla produzione, cosa che stimolava reazioni contrastanti tra i lavoratori e le lavoratrici.

Nel contempo era in atto il tentativo del terrorismo di destabilizzare la democrazia e di radicarsi nei luoghi di lavoro per avere consenso alla loro follia reazionaria (il primo attentato delle Br avvenne sulle piste di Lainate dove la Pirelli sperimentava i suoi pneumatici).

Nel tempo successivo la discussione sulle tesi del manifesto, insieme alle altre, diventò una pratica, un modo di fare politica in un grande luogo di lavoro. Dopo qualche tempo lasciai la fabbrica e mi trasferii alla Camera del Lavoro per poi arrivare nel 1978 a Roma nel sindacato nazionale dei chimici.

Quelle discussioni con i miei compagni, quelle stimolate anche da osservatori esterni, compreso il manifesto, proseguirono con la stessa vivacità. Erano diversi i luoghi e ovviamente anche un gran parte degli argomenti ma la «pratica» non venne mai interrotta.

L’assunzione da parte mia di nuove responsabilità introdusse la novità di rendere ogni tanto pubbliche quelle discussioni. E ne derivarono anche momenti di aspro confronto con lo stesso manifesto.

Ne ricordo uno in particolare quando il giornale giudicò ferocemente la disponibilità della Cgil a confrontarsi con il governo Berlusconi all’inizio degli anni Duemila perché quel normale esercizio di autonomia e responsabilità venne giudicato come una scelta subalterna e negativa.

Il giudizio cambiò radicalmente di lì a pochi mesi quando, per effetto del confronto, milioni di donne e uomini riempirono il Circo Massimo a Roma, e le zone circostanti, per difendere i loro diritti dagli attacchi censori del governo.

Anche la strada successiva è stata percorsa discutendo nel naturale rispetto. Il manifesto e le sue autorevolissime voci hanno aiutato le grandi organizzazioni, a cominciare dalla Cgil, a tenere ferma una idea della sinistra politica e sociale. Buon Compleanno.

Sergio Cofferati è stato segretario generale della Cgil dal 1994 al 2002