«Il mio principale obiettivo è che la Linke resti unita». Nella sinistra di opposizione in Germania non ci sono solo sostenitori o avversari di Sahra Wagenknecht e del suo movimento Aufstehen: (Alzarsi) Victor Perli, deputato 36enne, radici familiari in Alto Adige e Olanda, è tra i «pontieri».

Perli, qual è il suo giudizio sull’iniziativa di Wagenknecht?

Aufstehen può raggiungere e attivare persone di sinistra che sono insoddisfatte dai partiti: è la funzione svolta in passato da Attac. Ora ci sono movimenti tematici, contro le morti nel Mediterraneo o contro il cambiamento climatico, ma ne manca uno più generale: può essere il ruolo di Aufstehen.

Nessun rischio di scissione per la Linke, quindi?

In astratto, se vediamo la storia della sinistra, questi rischi ci sono sempre. E qualcuno spinge in quel senso, ma è minoritario. Wagenknecht ha detto chiaramente che non vuole fondare un nuovo partito, cosa che peraltro la legge tedesca non rende facile. La Linke è il più forte partito a sinistra della Spd da quando è nata la Repubblica federale: per decenni quest’area non ha avuto rappresentanza ed è una conquista che non dobbiamo mettere in pericolo. Aufstehen può far bene alla Linke se crea partecipazione nelle persone che sono fuori dal partito, non deve condurre militanti a uscirne.

Ma qual è lo stato di salute della Linke con queste fibrillazioni?

Stabile, ma non soddisfacente: non riusciamo a raccogliere i consensi che perde la Spd. All’interno il partito sta cambiando molto. Le correnti tradizionali contano di meno e si stanno rimescolando, crescono gli iscritti più giovani, molti dei quali sono entrati per reagire all’ascesa della destra. Dobbiamo saper gestire le nostre contraddizioni, come insegnano Marx e Gramsci. Sarebbe una tragedia non riuscirci, soprattutto ora che la Spd è in caduta libera.

 

Il deputato Victor Perli

 

Il tema-chiave è quello dei migranti. Aufstehen va dietro ad Alternative für Deutschland?

La Linke è il polo opposto rispetto alle posizioni della Afd e anche del ministro degli interni Seehofer, che ha definito l’immigrazione «la madre di tutti i problemi». La nostra posizione è nettissima contro il razzismo, contro chi vuole la guerra dei tedeschi poveri contro i migranti. Fra noi c’è una discussione, che c’è in tutta la sinistra europea, sull’apertura incondizionata delle frontiere e sul diritto di residenza incondizionato per chiunque. La Linke difende il diritto intangibile di tutti i profughi ad essere accolti e a restare, mentre si confronta su quanta immigrazione sia concretamente sostenibile per il nostro Paese. Aufstehen sta in questa discussione.

Le contraddizioni a cui si riferiva sono legate anche alla personalità più in vista: Wagenknecht è leader di Aufstehen e capogruppo della Linke in parlamento.

Trovo legittimo che lei sia attiva, come molti di noi, anche in associazioni o campagne, ma in prospettiva ritengo che i portavoce di Aufstehen dovrebbero diventare altri.

I critici, poi, si chiedono come mai Wagenknecht, da sempre contro il governo rosso-rosso-verde, sia ora favorevole alle intese, come scritto nel manifesto di Aufstehen.

Per otto anni c’è stata una maggioranza numerica nel Bundestag a sinistra della Cdu-Csu, un’opportunità che non poteva essere colta perché mancavano le condizioni politiche. Spd e Verdi non avevano intrapreso nessuna vera autocritica rispetto alle loro scelte nel periodo del governo Schröder e molti di noi temevano che un’alleanza sarebbe stata un abbraccio mortale, perché non ci sarebbero stati spazi per incidere. Wagenknecht vuole, con Aufstehen, aumentare la pressione su Spd e Verdi affinché facciano finalmente questa autocritica.

Chi dice che è un movimento dall’alto si sbaglia?

Già in passato erano stati intellettuali e personalità pubbliche a dare vita a movimenti. Il punto è vedere quanti dei 150mila che hanno aderito online ad Aufstehen si attiveranno davvero: solo allora sapremo se la critica è giusta.

Allarghiamo la prospettiva: ai rischi di rottura in Germania corrispondono quelli in Europa.

Sì, ma sul piano europeo il pericolo mi sembra più forte. Se nel prossimo parlamento di Strasburgo non ci fosse più il gruppo unitario della Gue, ma ce ne fossero due, sarebbe drammatico. Tutti noi dobbiamo sentire la responsabilità di rafforzare la sinistra in Europa di fronte alla destra in crescita. Si può essere critici verso Syriza e Tsipras, come lo è Mélenchon, ma questo non deve condurre a una separazione.

Ma secondo lei qual è la posizione giusta sull’Europa?

La sinistra è internazionalista e non può assumere il punto di vista degli stati nazionali. La Linke ha sempre difeso il sistema statale di protezione sociale contro lo smantellamento che traeva impulso dalle istituzioni sovranazionali perché i rapporti di forza attuali impediscono di creare un sistema di welfare europeo, che deve comunque restare l’obiettivo a cui tendere. La nostra prospettiva non è il ritorno allo stato nazionale. Non solo perché l’Europa è una realtà nella vita di tante persone che studiano e lavorano, ma anche perché le grandi sfide del presente – migrazioni, cambiamento climatico, pace nel continente – non possono certo essere affrontate a livello nazionale. Noi dobbiamo essere, contemporaneamente, europeisti e critici verso il radicalismo di mercato e l’austerità di questa Unione europea. Noi dobbiamo riformare radicalmente l’Ue, non distruggerla.