Il MAV(Museo Archeologico Virtuale)  è un progetto/esperimento/struttura/esperienza molto particolare, forse unico a livello mondiale. Non solo e non tanto per la reinvenzione virtuale dell’archeologia che pure si è imposta per la suggestiva applicazione delle più moderne tecnologie e la seducente creatività delle soluzioni espositive e per la nuova modalità di fruizione culturale del patrimonio archeologico, quanto per la (post)moderna collocazione del Museo non lontano dagli scavi di Ercolano, la significante contiguità con le reali rovine ercolanesi e pompeiane, l’interessante integrazione per il turista/viaggiatore dal punto di vista della conoscenza/percezione della Storia. La visita sui generis del Museo si configura come un viaggio multisensoriale per conoscere e scoprire nel dettaglio le realtà storiche di Ercolano e Pompei prima dell’eruzione vesuviana del 79 d.c., la struttura che nasce nel cuore di Ercolano trasporta il visitatore in un contesto virtuale ricostruito fedelmente. Si viene risucchiati in un tourbillon di intelligenze connettive che smaterializzano corpi, scoprono nomi e volti degli antichi Ercolanesi, mostrano gioielli in forma olografica, restituiscono i frammenti e i pensieri di filosofi e poeti, amplificano voci e grida del mercato, di soluzioni interattive, con una settantina di  installazioni multimediali che anche attraverso ricostruzioni animate restituiscono vita e splendore alle principali aree archeologiche di Pompei, Ercolano, Baia, Stabia e Capri, per concludersi nella sala di proiezione creata nella grande galleria per la visione in 3D della ricostruzione virtuale dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.c..Con tanto di occhialini il visitatore prima di lasciare il Museo, nell’ultimo tratto del percorso fa un tuffo tridimensionale nel passato e nella Storia rivivendo fisicamente l’evento straordinario che ha cambiato la storia e il volto di Ercolano e Pompei tra fiumi di lava e  una pioggia di lapilli incandescenti che sembrano irrompere sullo spettatore con i prodigi di un’installazione dotata di una piattaforma vibrante che simula i terremoti che si verificarono contemporaneamente all’eruzione.

Insomma un’affascinante full immersion sinestetica che proietta il visitatore in un’insolita dimensione spazio-temporale che però al tempo stesso paradossalmente solleva qualche perplessità di tipo estetico-teorico, suggerisce qualche interrogativo sulla “integrazione” della visione/percezione, stimola qualche riflessione circa l’insostituibilità del flusso invisibile delle immagini che si tramandano dal passato. Intanto c’è da dire che le sempre più sofisticate e onnipotenti tecnologie digitali dalle quali siamo accerchiati ormai ci “costringono” quotidianamente  a una percezione multisensoriale nella quale spazio reale e spazio virtuale si confondono espandendo e amplificando gli stessi stimoli emozionali. E allora ci si può chiedere se e fino a che punto il museo virtuale rispetto agli scavi reali di Ercolano è complementare o sostitutivo, o meglio se e cosa spinge il turista/viaggiatore/visitatore ad immergersi in visioni supplementari. Non è scontato che chi vede i ruderi originali sia stimolato a ripercorrerli nella dimensione digitale e viceversa chi resta abbagliato dal trip visivo del MAV abbia poi voglia di perlustrare i resti archeologici ercolanesi e pompeiani. Anzi viene il dubbio che può scattare qualcosa di inspiegabile e indescrivibile sul piano emotivo/sensoriale, nel senso che qualcuno magari non vuole “rovinare” la condizione mentale e lo stato d’animo creati da una delle due visite con un’altra. Sono sensazioni epidermiche, intuizioni suggestive, che però trovano un conforto teorico nelle interessanti analisi e illuminanti riflessioni di studiosi di ieri e di oggi, storici dell’arte che sconfinano nella filosofia, nell’antropologia, nella storia delle religioni come il tedesco Aby Warburg, il francese Georges Didi-Huberman, gli americani Alexander Nagel e Christopher Wood che hanno tutti a che fare in qualche modo con la cosiddetta “scuola iconologica”. I concetti fondamentali intorno ai quali ruotano le sofisticate riletture della storia dell’arte tradizionale sono “la temporalità plurale dell’opera d’arte” e “il medioevo moderno”. In sostanza Warburg, nel tentare di spiegare la peculiare portata della Grecia e della Roma antica sull’immaginazione europea, ha parlato di “vita postuma” o “sopravvivenza” dell’antico. Per lui un dipinto o una rappresentazione di corte costituivano un denso archivio di energie culturali, che rendeva concrete e trasmetteva esperienze traumatiche e primordiali. Credeva che certi stimoli arcaici s’imprimessero direttamente nella materia e nel gesto, dando alla raffigurazione il potere d’interrompere un tempo presente, storico. Per Didi-Huberman, che riprende la lezione di Warburg, oggi lo storico dell’arte può interrogare le immagini disancorandole dal tempo “assoluto” della loro nascita. “Le immagini che ci giungono dalla tradizione artistica – scrive lo studioso francese – diventano leggibili proprio grazie allo scontro con un presente che le apre e mostra al loro interno “sopravvivenze”, fossili di stati precedenti, presenze che contraddicono l’idea della storia come filo che si srotola e la configurano piuttosto come assemblaggio di tempi e modelli visivi eterogenei”. Per Nagel e Wood infine, autori di un fondamentale saggio che prende in esame l’arte del XV e XVI secolo, “Nessun dispositivo genera più efficacemente l’effetto di un raddoppio o di una flessione del tempo quanto l’opera d’arte, uno strano tipo di evento la cui relazione con il tempo è plurale. L’opera d’arte viene realizzata o progettata in un certo momento da un individuo, ma si allontana anche da quel momento, puntando forse a una remota origine ancestrale o a un’origine fuori dal tempo, divina. Al tempo stesso si rivolge a tutti i suoi futuri destinatari che la attiveranno e riattiveranno come evento dotato di senso. L’opera d’arte è un messaggio in cui mittente e destinatario sono in continuo movimento”.

Tutto ciò naturalmente può essere riferito al patrimonio figurativo e non solo di Ercolano e Pompei, alla sua potenzialità visiva, alla “temporalità” delle immagini che va oltre il contesto storico-culturale nel quale sono nate. Ma il MAV è arrivato per attivare un confronto non richiesto, per prolungare quelle riflessioni in un’altra dimensione, per sperimentare il modello digitale/virtuale nell’eterno dialogo tra antico e (post)moderno.