«La fatale disfunzionalità nella casa della mia infanzia non ha niente a che vedere con Woody. È cominciata molto prima che lui entrasse a far parte delle nostre vite, e proviene direttamente da una profonda e persistente oscurità nella famiglia Farrow». L’autore di queste parole, Moses Farrow – figlio adottivo di Mia Farrow e in seguito di Woody Allen – era già intervenuto nel 2014 in difesa del padre contro le accuse di violenza sessuale rivoltegli dalla figlia Dylan, ormai adulta, sul «New York Times».

L’accusa di aver molestato Dylan di soli sette anni formulata per la prima volta da Mia Farrow nel 1992 viene ancora una volta respinta da Moses in un lungo e dettagliato resoconto postato online. «In considerazione degli attacchi incredibilmente imprecisi e fuorvianti rivolti a mio padre, Woody Allen, sento di non poter più tacere mentre continua a venire condannato per un crimine che non ha mai commesso», esordisce nel suo intervento. Un resoconto di quella fatidica giornata del 1992 in cui Allen avrebbe molestato la figlia, e di cui l’allora quattordicenne Farrow è stato testimone diretto, ma soprattutto il dettagliato racconto di una famiglia disfunzionale, succube – nelle sue parole – della violenza fisica e soprattutto psicologica di Mia Farrow, dipinta come il vero punto d’origine di quell’abuso di potere costantemente rinfacciato a Woody Allen nella sua veste di regista amato in tutto il mondo.

«Per mia madre era fondamentale proiettare l’immagine di un ambiente domestico felicemente assortito, fra figli biologici e adottati, ma quest’immagine era ben lontana dalla realtà». Oltre a stilare una lunga lista di queste violenze fisiche e psicologiche – e della presunta pratica ricorrente di Mia Farrow di fare il lavaggio del cervello ai figli perché si conformassero a questa fittizia immagine di felicità – Moses apre uno spiraglio su quella che chiama l’oscurità della famiglia Farrow. «Mio zio John (fratello di Mia, ndr) che ci ha fatto visita molte volte quando eravamo piccoli, attualmente è in prigione a scontare una pena per molteplici accuse di molestie nei confronti di bambini». Mia stessa avrebbe raccontato a Moses di essere stata molestata fra le mura domestiche, e un suo altro fratello – Patrick – si è suicidato, come due dei figli della stessa Mia Farrow.

Quello di Moses è però soprattutto un duro atto d’accusa nei confronti di chi sottopone il padre a «inarrestabili e ingiusti attacchi» basato su degli elementi fattuali: in primo luogo le due indagini separate condotte all’epoca dei fatti, giunte entrambe alla conclusione che Dylan non aveva subito molestie – e che hanno fatto sì che le accuse contro Allen venissero fatte cadere. E anche la natura del rapporto del regista con la figlia adottiva di Mia Farrow Sun-Yi Previn, spesso citato come l’ombra che grava sull’«integrità» del regista. «Lei non è la figlia di Woody: né adottiva né di alcun altro genere», scrive Moses, che spiega anche come i due non abbiano mai vissuto sotto lo stesso tetto prima di iniziare la loro relazione.

«Agli attori che si sono detti pentiti di aver lavorato con Woody: vi siete affrettati a unirvi al coro della condanna basata su un’accusa screditata già 25 anni fa per paura di non stare dalla ’giusta’ parte di un movimento sociale molto importante», scrive Farrow in riferimento a #MeToo nel suo appello a coloro che hanno voltato le spalle al padre, aggiungendo che rispetto a tante altre figure pubbliche finite nell’occhio del ciclone Allen «in oltre 60 anni di vita pubblica» non è mai stato accusato «neanche di essersi comportato male a un appuntamento».

«Mia e i ’suoi’- conclude Moses Farrow coinvolgendo implicitamente anche il fratello Ronan, fra i principali accusatori di Allen – hanno esaurito tutte le vie legali a loro disposizione quando è stato stabilito che non c’è mai stato alcun abuso. Ma il processo mediatico si alimenta dell’assenza di memoria a lungo termine, e Twitter non richiede né conoscenza dei fatti né moderazione».