Non sono bastati gli 80 euro di Renzi e l’alluvione monetaria della Bce di Draghi con il quantitative easing: per l’Istat nel 2016 l’Italia è rimasta in deflazione. è la prima volta che succede da oltre mezzo secolo. Nel 1959 la flessione dei prezzi al consumo fu dello 0,4%. Oggi dello 0,1%. Può avere influito l’accordo tra i paesi Opec a inizio dicembre sulla riduzione dell’estrazione del petrolio con l’obiettivo di aumentarne le quotazioni. Il greggio è tornato sopra quota 50 dollari e ad affossare l’indice generale è stata proprio la componente energetica. A questo è dovuto la fiammata inflazionistica registrata a dicembre con i prezzi in crescita dello 0,5% a causa del caro-benzina. In un mese sono aumentati i prezzi del gasolio per mezzi di trasporto e per il riscaldamento.

DEFLAZIONE SIGNIFICA assenza di domanda interna su cui inciderà la stangata dell’aumento delle bollette domestiche a gennaio. «L’Istat non ha ancora incorporato l’aumento di gennaio della luce, del gas, che peseranno per 52,50 euro per ogni famiglia» sostiene Massimiliano Dona (Unione Nazionale Consumatori) che chiede al governo di intervenire. Per l’Istat le maggiori flessioni sono state registrate sui prezzi delle abitazioni, acqua, elettricità, trasporti e c combustibili. «Questo andamento è causato dalla componente riconducibile ai beni energetici» conferma l’Istat. Frenano anche i prezzi degli alimentari e dell’istruzione, servizi ricettivi e ristorazione, mentre crescono quelli di spettacoli e cultura, abbigliamento e calzature. Stabili servizi sanitari e per la salute. La deflazione mai vista da 57 anni a questa parte è stata causata, in gran parte, dal crollo dei consumi. «Negli ultimi otto anni – sostiene Carlo Rienzi (Codacons) i consumi sono calati di 80 miliardi. Come se ogni famiglia avesse ridotto gli acquisti per 3.333 euro». Tale riduzione ha inciso gravemente sui consumi domestici. «Oltre 16 milioni di cittadini hanno ridotto gli acquisti di carne solo nell’ultimo anno – sostiene l’ufficio studi della Cia-Agricoltori italiani – più di 10 milioni hanno acquistato meno pesce, 3,5 non comprano orto-frutta».

SE IL CONSUMATORE PIANGE, il produttore non ride. All’altro capo della filiera produttiva i prezzi spuntati dagli agricoltori sui campi non coprono nemmeno i costi di produzione. La Cia fa l’esempio dei cereali che a ottobre hanno perso il 14% del valore sul 2015, gli ortaggi il 18%, gli avicoli il 9%. Per ogni euro speso dal consumatore, solo 15 centesimi vanno all’agricoltore. E questo nonostante l’aumento segnalato dall’Istat. Chi ci guadagna nella deflazione è la distribuzione. Perdono sia il consumatore che il produttore. A loro volta le imprese guadagnano meno e possono iniziare a licenziare per ridurre i costi.

«GLI AGRICOLTORI hanno dovuto vendere più di tre litri di latte per bersi un caffè o 15 chili di grano per comprarsene uno di pane e la situazione non è migliore per uova, carne – calcola la Coldiretti – Nonostante il crollo dei prezzi dei prodotti agricoli i prezzi dei beni alimentari non aumentano anche per le speculazioni e le distorsioni di filiera nel passaggio dal campo alla tavola. Incide il flusso delle importazioni selvagge che fanno concorrenza sleale per la mancata indicazione sull’origine dell’etichetta».

DALLA VITA MATERIALE emerge la «deflazione cattiva» dovuta alla bassa domanda, ai bassi salari, alla crescita della povertà e della «grave deprivazione materiale»: l’impossibilità di garantirsi pasti proteici ogni giorno o la capacità di affrontare spese improvvise da almeno 800 euro. In queste condizioni il consumatore non spende perché non ha soldi e se li riceve – dai 22 miliardi pubblici spesi da Renzi solo per il lavoro dipendente dagli 8 ai 26 mila euro mensili – li usa per pagare i debiti o metterli in banca. È la «stagnazione secolare» prevista da Larry Summers: crescita anemica, precarietà, instabilità finanziaria. Gli elementi ci sono tutti.