Nel lontano e dimenticato Darfur la violenza ha ripreso il sopravvento in modo inaspettato a partire da fine dicembre. Pastori arabi, secondo quanto riferito da Radio Dabanga dotati di Land Cruiser e armi pesanti, hanno attaccato e incendiato i campi di Kerending abitati da sfollati di etnia Masalit.

Secondo l’Unhcr, le violenze hanno costretto oltre 11mila persone a fuggire nel vicino Ciad mentre altre 46mila persone sarebbero fuggite all’interno del paese. Si tratta di almeno 128mila persone attualmente in Ciad, dislocate in diversi villaggi lungo una linea che si estende per quasi 100 km lungo il confine.

Il World Food Programme ha fornito assistenza alimentare in 22 località dove gli sfollati sono fuggiti, 111 tonnellate di cibo, sufficienti per nutrire 24.450 persone per 15 giorni.

A seguito di un grosso impegno della comunità internazionale il 21 gennaio sono ripresi a Juba i negoziati tra il governo e i gruppi armati attivi nel Darfur: la fazione di Gibril Ibrahim del Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (Jem), il Sudan Liberation Forces Alliance, la fazione di Minni Minnawi del Sudan Liberation Movement (Slm) e il Consiglio di transizione Slm.

Negoziati che hanno portato alla firma di un accordo che prevede una definizione delle questioni più controverse:l’amministrazione della regione durante il periodo di transizione, accordi di condivisione del potere a livello statale e regionale, meccanismi per la condivisione delle risorse naturali, proprietà della terra e ritorno di sfollati interni e rifugiati.

L’impegno è di arrivare entro due settimane a un accordo di pace completo. Secondo Mohamed El Taayshi, portavoce della delegazione del governo, l’accordo è «un passo avanzato verso il raggiungimento della pace».

Nell’accordo è previsto che venga istituito un tribunale speciale nel Darfur che avrebbe il mandato di processare i responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

Si è subito generato entusiasmo per una conciliazione inaspettata che potrebbe mettere fine a una guerra che, a partire dal 2003, ha provocato almeno 300mila morti e oltre 2,5 milioni di sfollati. Ma la cautela è d’obbligo: un accordo simile era già stato siglato lo scorso 30 dicembre, senza avere un impatto positivo sul terreno. È importante che si sia dato tempo alle delegazioni fino al 4 febbraio per consultare i propri colleghi sul campo in modo che il processo sia condiviso.