Fino all’una di notte la Danimarca ha pensato di essere finita in Borgen, la nota serie televisiva sulla politica danese. A prendere i panni della protagonista della serie, Birgitte Nyborg, ci aveva provato, fino all’ultimo il vecchio leader liberale Lars Løkke Rasmussen che, dopo aver annunciato il suo ritiro dalla politica nel 2019, è ritornato sulla scena lo scorso anno fondando i “Moderaterne” (lo stesso nome di uno dei partiti della citata serie tv).

Con lo spoglio definitivo dei 3,5 milioni di voti degli abitanti del Regno (l’85% degli aventi diritto) il “blocco rosso” formato da socialdemocratici, social liberali e sinistra rosso verde è, però, riuscito a strappare la maggioranza al Folketing, ottenendo 87 mandati parlamentari ai quali si aggiunge un eletto delle isole Fær Øer e due eletti della regione autonoma della Groenlandia, un socialdemocratico e uno della sinistra indipendentista di Inuit Ataqatigiit, che attualmente governa l’isola.

La premier uscente, Mette Frederiksen, è riuscita non solo a fare guadagnare quasi 2 punti percentuali ai socialdemocratici (27,6%) ma anche a preservare una maggioranza di centro sinistra a Christiansborg (il palazzo dove hanno sede il parlamento, il primo ministro, la corte suprema e la casa reale).

Il “blocco rosso” è, però, uscito ridisegnato con i Socialistisk Folkeparti (socialisti popolari), formazione eco socialista aderente ai verdi europei, che ha raccolto l’8,3%, l’Enhedslisten (alleanza rosso verde aderente alla sinistra europea) scesa al 5% (-1,8%) e l’Alternativa, formazione ambientalista stabile al 3,3%. Un vero tracollo l’hanno subito i social liberali di Radikale Venstre (dall’8,6% al 3,8%); erano stati loro a chiedere le elezioni anticipate a ottobre, dopo lo scandalo che aveva coinvolto il governo per l’abbattimento di 17 milioni di visoni per rischio variante Covid nel 2020.

Nel “blocco blu” oltre alla novità dell’ex premier Løkke che è diventato il terzo partito del paese con il 9,3% è da registrare il risultato dei liberali di Venstre (formazione dalla quale proviene Løkke) crollati dal 23% al 13,3%. Anche nell’estrema destra c’è stato un rimescolamento con il Partito del popolo danese passato dal 9% al 2,5%: voti andati in buona parte alla nuova formazione dei “Democratici danesi” (8,1%) che si ispira agli omologhi “fratelli” svedesi per idee e strategie.

La leader socialdemocratica quindi ha davanti due possibilità: rimettere in piedi l’alleanza “rossa” con nuovi rapporti di forza nella coalizione o provare la strada, invocata in questo mese di campagna elettorale, di un governo di “unità nazionale” per fronteggiare la crisi economica derivata dai rincari energetici.

Frederiksen ha proposto in questi 30 giorni un’agenda rosso-verde, con stabilizzazioni e aumenti per i dipendenti pubblici (soprattutto nel settore della sanità) e con la promessa di mettere al bando i pesticidi in agricoltura. Proposte e provvedimenti che l’hanno aiutata a recuperare consenso ma che non è ancora chiaro con quali alleanze intenderà portare avanti.